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COSI’ IL FESTIVAL DI SANTARCANGELO LEGGE LA REALTA’

Flavio Nicolini, intellettuale e artista santarcangiolese al quale si deve l’inizio del Festival, verrà celebrato in apertura della 46a edizione di Santarcangelo dei Teatri. L’inizio della rassegna, nel 1971, si deve proprio a lui, scrittore per ragazzi, cineasta e sceneggiatore per Antonioni e Petri, oltre che autore di grande successo per la Rai. Ma Nicolini era rimasto sempre nel suo amatissimo paese, dove aveva insegnato da maestro elementare e nel dopoguerra aveva fatto nascere E’ circal de’ giudéizi insieme a Tonino Guerra, Raffaello Baldini, Nino Pedretti, Gianni Fucci, Rina Macrelli. L’avventura del Festival la intraprese con Piersilverio Pozzi, l’allora sindaco della cittadina romagnola Romeo Donati e Piero Patino, che ne fu primo direttore artistico: in una sorta di manifesto programmatico questi scrisse che «il teatro sgorga dalla collettività, per ritornare alla collettività». Quella di Santarcangelo era una manifestazione con la quale si desiderava sottolineare il carattere sociale e politico dell’arte scenica, portando nelle piazze e per le strade un teatro propedeutico che avesse finalità educative. Non per nulla tra i primi ad esibirsi all’interno della manifestazione furono Dario Fo e Franca Rame, il Club Teatro, Giorgio Gaber, Giovanna Marini, «Il Granteatro» con Carlo Cecchi, «Il Cerchio» diretta da Roberto De Simone, il Teatro di Ventura, il Teatro delle Briciole, «Quelli di Grok» e il Piccolo Teatro di Pontedera per elencare solo alcune delle prime realtà italiane partecipanti.

santarcangeloteatri

Un profilo di amplissimo respiro quello a cui aspirava la rassegna, che quest’anno avrà come tema specifico quello delle mappe immaginarie e dei luoghi fantastici, un leit motiv che accompagna il festival già da alcuni anni ma che quest’anno diventa più esplicito, come detto dalla direttrice artistica Silvia Bottiroli, che proprio con questa edizione termina la direzione artistica di questo lustro. Utilizzare i luoghi del reale, costretti anche dal fatto che il Festival si insinua in una cittadina che non ha luoghi reali dedicati alla performatività teatrale tout court e di farli rivivere attraverso anche riscoperte di luoghi quali la rocca malatestiana o le grotte ipogee, o – ancora – un campetto da basket della periferia, la cui peculiarità è quella di chiedere agli artisti del Festival di svilupparvi appositi progetti.

Cospicua la presenza della danza e delle arti performative, alle quali collaborano numerosi musicisti e che denota un’ulteriore area di approfondimento sempre più centrale all’interno del Festival. Lo scorso anno questo si concluse con l’importante spettacolo (untitled) (2000) di Boris Charmatz direttore del Musée de la dance di Rennes, interpretata da Frank Willens, passata purtroppo alle cronache solo come «balla nudo e orina in piazza», creando lo scandalo a Santarcangelo dei Teatri e costituendo forse la eco più povera dell’edizione dello scorso anno,. Quando invece l’attenzione sulla costruzione della coreografia tesa a presentare teatralmente la storia della danza del XX Secolo, era tesa a ricollocare le pratiche coreografiche e i rispettivi modi di vedere i corpi nello spazio pubblico, per scandagliare la relazione dell’artista con i musei e il suo ruolo nell’insegnare alle società come comportarsi e comprendersi. Ma del resto, la scorsa edizione non si reggeva su due affermazioni di Romeo Castellucci «Guardare non è più un atto innocente» e «Sarà come non poter distogliere lo sguardo dagli occhi di Medusa» come comandamenti rispetto alla libertà di espressione nell’arte?

L’edizione dello scorso anno ha saputo interpretare alcune delle istanze di lettura dell’odierno ad esempio attraverso il potentissimo e generosissimo spettacolo dei Motus MDLSX sul tema della definizione, della liquidità e criticità della definizione del genere affettivo e sessuale. O anche attraverso la riflessione del Teatro delle Albe con lo spettacolo «Vita agli arresti» di Aung San Suu Kyi sulle vicende della leader birmana, fino ad arrivare ad uno dei progetti forse tra i più originali e potenti tra quelli presentati negli ultimi anni, «Azdora» di Markus Öhrn, il quale è riuscito a trasformare un manipolo di anziane pensionate romagnole (una trentina di signore over 50) in dei personaggi che, faccia truccata di bianco come i Kiss, hanno preso in mano un frustino di pelle per sculacciare il sedere nudo di un giovane svedese per far travalicare il concetto di cura che solitamente si attribuisce a questi angeli dei focolari e farne trasparire la potenza, l’audacia e, in qualche senso, non solo la forza ma anche la brutalità.

Anche quest’anno ci si aspettano alcune linee interpretative dell’odierno attraverso la spinta delle tante relazioni che la manifestazione riesce a tessere con il territorio in cui si incunea, riuscendo a rappresentarlo con alcune messe in scena di raro impatto: si pensi ad esempio allo spettacolo sperimentale dello stesso Marcus Ohrn, che avrà il suo apice quest’anno con la performance intitolata «DAI», fatto con 20 donne della cittadina per l’edizione 2016, in cui le azdore lanceranno un album noise metal che stanno preparando ed eseguiranno in concerto. O, ancora, il progetto «Corbeaux» (Corvi), una performance in prima italiana, in collaborazione con «La Francia in Scena» della coreografa e danzatrice marocchina Bouchra Ouizguen, nella quale uno stormo di donne italiane e straniere che abitano nell’entroterra santarcangiolese e alcune danzatrici della compagnia provenienti dal Marocco, faranno la loro comparsa sul tetto del Supercinema in un coro che si diffonderà nell’aria, contraltare laico e femminile all’invito alla preghiera dei muezzin. Ed infine il progetto «DOM – L’uomo che cammina», che ha avutoinizio sabato 9 luglio (con la partenza in treno dalla stazione di Santarcangelo), e che propone in un progetto di Leonardo Delogu e Valerio Sirna, con una drammaturgia studiata su misura per la città balneare, che si trasforma in palcoscenico per lo spettatore. Un percorso pedestre dentro la città, tra zone più densamente urbanizzate e conosciute e altre invece silenziose, amene o abbandonate, seguendo un uomo che cammina – l’attore Maurizio Lupinelli – e che è ispirato dall’omonima graphic novel del fumettista Jiro Taniguchi. Lo spettacolo sarà un attraversamento di mondi diversi, che dopo una prima tappa per le vie del centro e dopo avere raggiunto la spiaggia di San Giuliano, porterà fin dentro al silenzio assoluto del greto del fiume Marecchia. Un progetto, anche questo, dalla forte volontà di inserimento nella realtà in cui l’esperienza sociale, scenico, teatrale ed antropologica si incunea.

Da soli, questi esempi, ci danno misura di una lettura della realtà che le attività performative e teatrali possono e debbono dare come risposta all’oggi, individuando come precipue due linee guida tra le più importanti tra quelle, ad esempio, dei finanziamenti europei alla cultura, ossia il coinvolgimento delle ultime fasce d’età delle nostre società e quello dell’intreccio culturale con le tradizioni extra europee.

p.s. Se quest’anno uno degli argomenti centrali di questa 46a edizione, è la notte, l’oscurità («un lungo viaggio al termine della notte») speriamo non sia questa a governare gli intelletti però di chi, incredibile dictu, non si è speso a celebrare il venticinquennale di una delle eccellenze teatrali – e non solo – del nostro territorio: un atteggiamento di rara eleganza da parte dei protagonisti di questo anniversario che, probabilmente troppo legati alla manifestazione romagnola, non hanno voluto in questa autocelebrarsi, ma di cui – speriamo – altri si ricordino presto, senza farci scippare i giusti tributi dovuti, da altre realtà territoriali.

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