Noi lo sappiamo cosa vuol dire lavorare oggi. E non lavorare. Ne sappiamo fin troppo perché ciascuno deve fare i conti con i propri guai. Finendo per non vedere più neppure quelli degli altri.
Per esempio, i guai di una signora cinese cinquantenne, facile che non siano in cima ai nostri pensieri. Anche se vive fra noi e fra noi cerca di tirare avanti.
“X.” è arrivata molti anni fa dalla Cina ed è sbarcata a Prato. Lì ha lavorato in diverse fabbriche del tessile. Ne ha cambiate parecchie cercandone una dove le condizioni fossero almeno umane, dove ci fosse il tempo almeno per uscire dal capannone. Non ne ha trovata nessuna. Alla fine ha mollato, pur con un po’ di vergogna, perché “noi cinesi siamo fatti così”: è il capo che ti manda a dormire un paio d’ore quando cadi dal sonno sulla macchina, l’operaio non dirà mai “sono stanco”, gli sembrerebbe di venir meno al proprio dovere.
Ma X. non ce la faceva proprio più e se n’è venuta a Rimini. Qualche lavoretto qua e là e finalmente una sistemazione che dal suo punto di vista rappresenta un grande traguardo. Non uno, ma due lavori.
Uno è in un’impresa alimentare a Santarcangelo, in regola con tutti i crismi. Ma solo per due o tre giorni alla settimana. Per sbarcare il lunario occorre altro.
Arrivano allora in soccorso dei connazionali. I restanti giorni della settimana, X. li passa così a Forlì, in un poltronificio. L’orario è di dodici ore e pagano 32 euro al giorno; beninteso, detratti i costi dei pasti e dell’alloggio, se li vuole.
Storie vere ma storie di stranieri, difficile che ci riguardino. E quelle dei riminesi, altrettanto vere, forse ci interessano?
B., per esempio, riminese lo è da generazioni. A 18 anni va a “fare la stagione”. È la prima volta per lei, vuole essere indipendente e del resto in famiglia non si naviga nell’oro. L’hotel è un 3 stelle di Marebello, cameriera ai piani. Quattro ore al giorno, in regola. Poi però l’hotel per fortuna si riempie e le ore non si contano più. E nemmeno le mansioni. Cucina, sala, e si torna a casa di notte. Però la paga resta quella delle quattro ore, niente straordinari, niente nemmeno in nero.
Né X. né B. andranno a protestare da qualche parte, proveranno a rivendicare i loro diritti. Narrano le loro storie parlando del più e del meno, in mezzo alle tante altre preoccupazioni che le assillano. Con la rassegnazione di chi sa di non avere alternative. Nemmeno lo vorrebbero, che le loro storie fossero raccontate. E del resto, noi le ascolteremmo?