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Coronavirus, l’appello di Gnassi: “Che rabbia quegli assembramenti del weekend”

“La zona gialla non è sinonimo di scampato pericolo ma un riconoscimento per lo straordinario lavoro di combatte in ospedale“. Dopo mesi il sindaco di Rimini Andrea Gnassi è tornato a richiamare la cittadinanza appellandosi al senso di responsabilità collettivo per arginare l’epidemia di Coronavirus. Che anche in Romagna sta correndo e parecchio alla luce degli ultimi dati che vedono i contagi stabilmente sopra le 100 unità giorno dopo giorno. Ma soprattutto al netto dell’allerta rossa dichiarata in tutti gli Ospedali della Romagna dove centinaia di posti letto sono occupati da pazienti Covid.

Bisogna avere il coraggio di dirlo: l’Emilia Romagna è in zona gialla ma così non va. Il timore chiaro, che vivono in particolare sulla pelle medici e personale sanitario, è che il colore giallo venga inteso come uno scampato pericolo, un altro sospiro di sollievo da tirare. La conferma della zona gialla è un riconoscimento al lavoro straordinario che stanno facendo medici, infermieri, il personale sanitario. Comuni e sindaci sono impegnati 24 ore su 24 nelle unità di crisi, per sostenere e affiancare la nostra sanità, le persone colpite e in difficoltà, ormai in migliaia tra chi è in quarantena e chi ha problemi di lavoro. Lo dico esplicitamente: sono seriamente preoccupato che il codice giallo venga percepito come un messaggio per abbassare la guardia. Un ragionamento distorto e pericoloso. I numeri forniti dalla Direzione generale dell’Ausl Romagna ci dicono invece che stiamo entrando nella fase critica dei posti letto e delle cure, anzi già ci siamo. Su 529 posti letto Covid in Romagna quelli già occupati si avvicinano a cinquecento. Se si supera questa quota cominceranno a saltare le prestazione sanitarie per altri malati e patologie. Fin qui è stato evitato. Ognuno pensi che un famigliare, un amico, un conosciente o chiunque altro domani abbia bisogno di una cura, Covid o non Covid, e potrebbe trovarsi a non averla. Questa è la partita, ora. E’ duro, brutto, impopolare, ma è la verità.

Chiedere comportamenti responsabili, di non concentrarsi nelle strade, nelle piazze o in qualunque altro luogo, serve per non far collassare ospedali, per salvaguardare e non per opprimere. Salute e imprese, con maggiori restrizioni, si vedrebbero ancora più chiuse.

C’è un lampante trend di crescita di casi in tutta la Romagna che fanno definire seria  la situazione corrente. Deve essere chiaro che bisogna guardare all’evoluzione epidemiologica della regione, della Romagna, del nostro territorio anche nella prospettiva di ulteriori restrizioni.

Sul fronte sanitario stiamo tenendo ma su quello sociale meno. In tutta Italia, provincia di Rimini compresa. Quanto accade anche nelle nostre città durante il fine settimana fa arrabbiare e testimonia chiaramente come sia finito alle ortiche lo spirito comunitario dei mesi primaverili del lockdown. Il Covid non pare più un problema collettivo ma del singolo che viene contagiato o va in ospedale. Non è questione di consigli paternalistici ma di guardare in faccia alla realtà con durezza: se continuano gli assembramenti, se non si usano neanche i più elementari sistemi di protezione individuale, se continueremo a mettere avanti l’io al noi, il sistema sanitario collasserà e il lockdown generale sarebbe lo sbocco certo, aggiungendo al dramma sanitario il baratro economico. Attenzione, il clima è pesante. La pesante incertezza di centinaia di migliaia di imprese, la preoccupazione di milioni di lavoratori per il loro futuro, si mischia a strumentalizzazioni politiche e a infiltrazioni di frange violente”. 

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