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Coronavirus, gli ammalati in Ospedale tra speranza e isolamento. Il racconto di un medico dell’Infermi

Aggrappati ai numeri e alla speranza che ben presto arrivi un vaccino o una cura farmacologica efficace. L’emergenza coronavirus ha cambiato, certo, il nostro stile di vita, il desiderio di ripartire accomuna più o meno tutti. Come e quando ne usciremo non è dato saperlo, ma, appunto, guardiamo alle statistiche, alle curve che ci auguriamo di vedere discendere quanto prima. Ci rimane il presente. Quello tra le mura domestiche, quello tra le strade presidiate dalle forze dell’ordine, delle file al supermercato per la spesa, preferibilmente settimanale.

Si chiama Pandemia- dal greco Pan, che evoca l’idea del “tutto” – perché, appunto, tutto questo virus si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Ma è anche vero, come insegnano i virologi, che quel “tutto” fa rima con ovunque. La partita quindi la si gioca in casa e di rimando lasciando le strade e le piazze deserte. Luoghi che rimangono sotto gli occhi di tutti. Ma la lotta al coronavirus è anche quella dei pazienti contagiati. E a proposito, ci sono luoghi, gli ospedali, in cui è difficile ricostruire tutti i passaggi di quello che accade. E questa difficoltà ci spinge a metaforizzare a parlare di trincee, di una vera e propria guerra in prima linea di medici e infermieri.

Racconta, Alessandra (nome di fantasia), che “i veri eroi, se proprio esistono in questo periodo, sono gli infermieri e più in generale chi si occupa di accogliere i pazienti malati al loro ingresso in ospedale, o durante il trasporto in ambulanza”. Alessandra è una dottoressa e si occupa – anche – di rispondere alle telefonate dei parenti degli ammalati.

Molti di loro, lo ha spiegato spesso anche il commissario ad acta per l’emergenza in Emilia Romagna, Sergio Venturi, vengono curati a casa. Si tratta di una buona notizia”.

Chi viene ricoverato in Ospedale anche quando non finisce in terapia intensiva presenta comunque sintomi molto severi”, spiega la dottoressa.

I pazienti più gravi, come dicevo, sono ricoverati in terapia intensiva. Quando vengono intubati sono coscienti. Questo perché sedarli prima significherebbe compromettere le funzioni vitali già evidentemente in pericolo. Solo in un secondo momento vengono sedati per rimanere in coma farmacologico per molto tempo, anche due settimane”, racconta.

Il tempo di degenza è variabile ma generalmente molto lungo.  Ricorda ancora Alessandra che “Mediamente i pazienti non covid ricoverati in terapia intensiva restano pochi giorni, ecco perché la situazione diventa problematica con i malati di covid. Parliamo di persone che necessitano di un trattamento il più delle volte lungo intorno ai quindici giorni”.

E poi ci sono le eccezioni. Nei reparti riservati ai pazienti affetti da Covid 19 viene ricoverato anche chi presenta una sintomatologia tale da far sospettare l’avvenuto contagio.  “Se un paziente è ricoverato nel reparto Covid19 non è detto sia risultato positivo al test del tampone. Sono pochi i pazienti negativi ricoverati in questo reparto, ma ci sono. “Se un paziente presenta sintomi tali da farlo sospettare fortemente o si evince dalle lastre viene trattato come Covid 19. Va anche aggiunto che a volte il tampone è negativo ma il paziente è comunque stato contagiato da Covid. Una sicurezza in più la dà il test sierologico cui tra poco saremo sottoposti noi medici e infermieri”.

C’è poi un aspetto, quello terapeutico, attorno al quale ruotano non pochi interrogativi. “Si sperimentano quando possibile cure e farmaci”.

Ma chi sono i pazienti che si curano in casa? “Chi presenta sintomi influenzali oppure è “paucisintomatico”, ovvero presenta sintomi molto lievi”. Oppure ex ricoverati. “Alcuni tornano a casa dai loro familiari e a volte capita che questi siano positivi. Altri anche alcuni di quelli estubati autosufficienti vengono mandati all’Hotel Royal di Cattolica”.

A Rimini l’ordinanza che ha introdotto severe misure restrittive, emessa dalla Regione e firmata da Stefano Bonaccini era entrata in vigore proprio per i solleciti di Ausl preoccupata per il grave andamento dell’epidemia in Provincia. “A Rimini la situazione è certamente drammatica e sono dell’idea che questo vada raccontato, anche in maniera cruda se serve. Se i cittadini devono restare a casa, ed è necessario che lo facciano, devono sapere perché sono chiamati a questo sacrificio. E che cosa rischierebbero senza restrizioni e senza rispettare le restrizioni”.

Perché il coronavirus è un nemico invisibile di cui tanto ancora dobbiamo imparare. “Della malattia abbiamo capito sicuramente che è molto subdola. Come si sa c’è un aspetto legato alla saturazione di ossigeno. Se il saturimetro indica che i livelli sono scesi e di molto il paziente deve essere ricoverato. E se è molto grave inizia la cosiddetta “fame d’aria”. In poche parole si sente soffocare. Forse questi aspetti non erano noti a tutti nelle prime settimane dell’epidemia”.

E qui tornano alla mente le immagini di inizio marzo, quando con le prime giornate miti di fine inverno centinaia di persone si erano riversate in spiaggia nonostante i divieti già entrati in vigore. “Purtroppo i riminesi non sono stati aiutati dal loro carattere esuberante e questo ci ha danneggiato”.

La pandemia di coronavirus ci ha costretto all’isolamento. Chi ha la fortuna di viverlo in casa circondato dai propri affetti familiari alla quarantena, per lo più si sta abituando. Soffre chi è costretto a viverla da solo e magari non è del tutto autosufficiente.

Molti si sono abituati all’idea di conversare in videoconferenza con parenti e amici. C’è chi scherza postando sui social network screenshot e immagini dei propri incontri virtuali. Da una parte una commedia, spesso necessaria. E poi dall’altra c’è il dramma. I pazienti affetti da Covid19 vengono prelevati dalle loro abitazioni e l’isolamento lo vivono in tempo reale circondati dagli infermieri e dai medici in tute asettiche mascherine occhiali e guanti. Non possono ricevere la visita dei loro cari e ristabilire un contatto con loro anche solo telefonico non è facile, per nulla. I più gravi – lo abbiamo letto sulle cronache – affidano talvolta a medici è infermieri messaggi d’addio da recapitare alla moglie, al marito.  Solo ieri all’Ospedale Infermi di Rimini sono arrivati dieci tablet che permetteranno ai pazienti affetti da Covid di poter conversare in video con i loro cari o i loro amici. Anche le visite dei medici avvengono per quanto possibile a distanza, anche grazie al nuovo dispositivo entrato in funzione in Ospedale che permette al medico di visitare virtualmente un paziente con tecnologie video e audio.

Ausl Romagna ha avuto l’intuizione di attivare in Provincia una sorta di call center dedicato ai parenti degli ammalati. Ci chiedono di riferire messaggi ai loro cari. Spesso riusciamo a recapitarli, altre volte no”, spiega la dottoressa, chiamata a ricoprire, come si diceva, proprio questo incarico di “front office” a distanza.

Le persone ricoverate all’Ospedale Infermi di Rimini e più in generale negli hub romagnoli sono più di 100 ad oggi. Come ricorda il Presidente dell’Ordine dei Medici Maurizio Grossi “Abbiamo rischiato di saturare i posti letto e non a caso in Prefettura era stata ipotizzata l’opzione di costruirei ospedali da campo. Ora fortunatamente i ricoveri sono in calo e se il trend continua, questa ipotesi verrà accantanata. Ci sono sprazzi di luce, timidi segnali di miglioramento, ma i cittadini devono capire che mai come ore è fondamentale rimanere in casa”.

Grossi assieme agli altri presidenti degli ordini dei medici dell’Emilia Romagna ha proposto all’assessore in Regione Raffaele Donini di estendere i test sierologici ai volontari impegnati sui territori per dare una mano a gestire l’emergenza. “Scovare gli asintomatici, ovvero persone che non presentano neppure sintomi leggeri, è ora prioritario. Deve sottoporsi al test sia il personale sanitario che i volontari che per motivi di necessità certamente non possono rimanere in casa”.

Il presidente dell’ordine riminese aveva inoltre sollevato polemiche sulla dotazione di cui dispongono medici e infermieri in prima linea negli ospedali. “Solo pochi giorni fa in tutta Italia dovevano essere consegnate 650.000 mascherine FFP2, le più efficaci in questi casi. Un compito della Protezione Civile – spiega Grossi – Peccato però che queste mascherine non siano mai arrivate. E per fortuna visto che non erano a norma. Il filtro non avrebbe protetto le persone dal virus, ma solo dalle polveri. E a Rimini dovevano arrivarne 3.000”.

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