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Consiglio di Stato: “Il vincolo alberghiero non è a tempo indeterminato”

Passata sotto silenzio, la pronuncia 475/2021 del Consiglio di Stato del giorno 08.04.2021 rappresenta, sia sotto l’aspetto puramente giuridico che sotto quello politico, un punto di svolta fondamentale per le vicende riguardanti le limitazioni alla trasformazione urbanistica delle strutture alberghiere.

Sul piano giuridico il principio sancito dal Consiglio di Stato è semplice: il vincolo alberghiero va bene ma non può essere per sempre, perché ciò costituirebbe una ingiusta limitazione del diritto d’impresa e del diritto di proprietà. Al contrario, il vincolo è lecito nel momento in cui questo permane fino a quando sussiste la convenienza economica a gestire una struttura ricettiva. La pronuncia, senz’altro più articolata di come qui è stata riassunta, e che offre anche una precisa ricostruzione della normativa in materia, stabilisce chiaramente che la permanenza del vincolo trova giustificazione nel fatto di evitare che la speculazione immobiliare porti a snaturare i tessuti turistico – ricettivi, anche in ragione del fatto che molte strutture alberghiere si trovano in contesti ambientali di grande pregio. Tuttavia i Giudici, però, non possono evitare di osservare che la rimozione del vincolo è prevista per legge e, quindi, l’Ente locale non può “del tutto trascurare il profilo legato alla perdita di convenienza economico produttivo dell’impresa alberghiera introducendo ulteriori presupposti non previsti” dalla legge stessa.

Sul piano politico, la pronuncia del Consiglio di Stato consente di aprire una riflessione sul tessuto economico del nostro territorio, anche alla luce delle imminenti elezioni amministrative nel Comune di Rimini. Il gioco della politica vuole che questo sia il momento in cui le promesse di sorti progressive e magnifiche sono al loro apice. La politica oggi, in campo turistico, vuole offrire una Terra Promessa che purtroppo la logica e l’economia impediranno di realizzare.

Chi governerà a breve si dovrà scontrare con il fatto che nel nostro territorio fare impresa turistica non è più conveniente, a maggior ragione se si ha una struttura alberghiera limitata a poche camere. Oltre a questo, a breve verrà anche smentita la pia illusione che accompagna il Recovery Fund, il quale sicuramente finanzierà il turismo, ma non tutto il turismo, non lo farà a pioggia e, soprattutto, non lo farà per quelle realtà economiche che erano già marginali prima della pandemia. Di questo si trova riscontro nella lettura combinata di due affermazioni che il premier Draghi ha fatto nel suo discorso di insediamento. La prima, testuale, è che “sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente”. La seconda, tra l’altro contigua alla prima in termini di scansione logica del suo discorso, quasi a sottolinearne una conseguenza in termini di azione politica, è che “il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”. La priorità sarà, quindi, il turismo culturale e le imprese turistiche che stanno in piedi da sole. Per il resto è compito di chi governa gestirne la loro uscita dal mercato.

E’ necessario, quindi, cogliere l’occasione offerta dalla pronuncia del Consiglio di Stato e rompere finalmente il tabù del vincolo di destinazione alberghiera che riguarda le strutture marginali. Al contempo ci si deve adoperare per favorire la crescita di altre strutture che già oggi per dimensione riescono a galleggiare nel mercato turistico locale che, non dimentichiamocelo, a causa dei prezzi praticati e dei servizi offerti, ha un valore aggiunto economico molto basso.

Per la verità, nel passato si è provato a risolvere l’endemico problema delle micro dimensioni di molti nostri alberghi. Senza una grande fortuna, stando ai fatti. Ad esempio è sostanzialmente naufragata l’idea di favorire l’accorpamento di più alberghi contigui. Ciò per due evidenti limiti: il primo è che, soprattutto nella zona nord di Rimini due alberghi contigui non ci sono nemmeno. Il secondo è che il ritorno dell’investimento per fare, da due alberghi di venti camere, uno da quaranta è molto lungo e incerto, proprio per lo scarso valore aggiunto economico del nostro mercato turistico. Anche l’idea dei Condhotel, un ibrido fra case e hotel, non sembra abbia ottenuto un grande riscontro.

Sostanzialmente negli anni si è girato attorno al problema senza volerlo attaccare direttamente, perché per l’appunto si sarebbe dovuto far cadere il tabù della conversione in abitativo di molte strutture alberghiere. Siamo nel momento storico, oggi, per affrontare direttamente questa questione, senza timidezze.

Come fare, quindi? Si deve partire stabilendo per legge un criterio di non convenienza economica presuntivo dato dal numero di camere delle strutture alberghiere, in modo tale che non sia il proprietario a doversi sobbarcare un contenzioso con l’ente locale per dimostrare ciò. Potrebbe essere un numero pari a 20 o 25 camere, sotto il quale la rimozione del vincolo può avvenire a semplice richiesta. Non c’è nemmeno bisogno di fare una legge, è sufficiente utilizzare la facoltà concessa dal comma 5 bis dell’art. 3 della Legge Regionale 28/90 che prevede che sia la Giunta Regionale a stabilire ulteriori casi di rimozione dei vincoli alberghieri.

Data questa opportunità, per evitare anche speculazioni immobiliari che alla fine danneggerebbero comunque il tessuto economico della nostra città, chi vuole cambiare la destinazione d’uso della propria struttura può farlo ma a condizione che dimezzi la superficie edificata. La restante parte della superficie viene persa oppure può essere trasformata in diritto edificatorio di tipo alberghiero che a sua volta può essere ceduto a un imprenditore del settore, situato anche dall’altra parte della città, che vuole investire sulla sua struttura ma che non può farlo perché non ha alberghi vicini da accorpare oppure perché ha sfruttato già interamente il suo indice edificatorio.

L’interesse pubblico è ampiamente tutelato in questo modo: si evita da una parte che piccole pensioni rimangano chiuse e abbandonate in piena zona turistica, vanificando anche gli sforzi di riqualificazione compiuti da questa amministrazione e dall’altra si consente a un altro operatore economico, attraverso l’acquisizione del diritto edificatorio, di sviluppare la propria impresa incrementando il numero delle camere a sua disposizione.

Giovanni Benaglia

Consiglio-di-Stato la sentenza

 

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