Sentenza foriera di orizzonti giuridici interessanti (e soprattutto indicativa di come le P.A. concedenti debbano alzare le difese immunitarie dai tentativi maldestri di aggirare le norme unionali da parte dei concessionari demaniali), quella pubblicata il 26 Gennaio dal Tar Toscana (79/2022 Sezione Terza) in tema di concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo che ha visto, da una parte, la società “Ultima Spiaggia S.R.L.“, e il Comune di Follonica, dall’altra.
L’impugnazione da parte dell’impresa balneare verteva su un preavviso di diniego e sul consequenziale rigetto disposti dal Comune di Follonica in risposta ad un’istanza di proroga avanzata ai sensi dell’ art. 3 comma 4-bis del D.L 400/93 e s.m.i. (comma aggiunto dal comma 253 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 -Finanziaria Prodi 2007- e poi così modificato dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11, L. 15 dicembre 2011, n. 217 – Legge comunitaria 2010), disposizione in forza della quale “le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni” in ragione “dell’ entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.
La società ricorrente realizzava nel 2007 uno stabilimento balneare all’esito di un complesso intervento di riqualificazione e ristrutturazione urbanistica, iniziato nel 2006. Il Comune di Follonica con tre distinte concessioni demaniali marittime rilasciate nel 2010-11 le concedeva: a) l’occupazione di aree demaniali con beni di facile rimozione; b) la conduzione di una pertinenza demaniale marittima; c) il godimento, prima stagionale e poi annuale di un’area adibita a strutture d’ ombreggio.
Tali titoli concessori venivano prorogati ex lege, ai sensi dell’art. 1, comma 18°, D.L. n. 194/2009 s.m.i., sino al 31 dicembre 2020. In data 23 marzo 2016, la ricorrente domandava il prolungamento del rapporto concessorio per ulteriori anni 20 ai sensi ex art. 3, comma 4-bis, D.L. n. 400/1993 summenzionato “rappresentando di aver investito € 1.038.785,85 e che per ammortizzare tale somma sarebbero stati necessari ulteriori anni 21”.
Tale possibilità era prevista dalle condizioni della concessione demaniale principale n. 2/2010; infatti, l’articolo 1 “durata e uso” commi 1 e 2, stabiliva una durata sino al 31 dicembre 2015 (5 anni), “fermo restando per il concessionario la facoltà di avvalersi di quanto previsto dal comma 4-bis dell’art. 03 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 conv. in legge 4 dicembre 1993, n. 494 come introdotto dal comma 253 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare”.
Il Comune di Follonica, comunicando all’impresa balneare il rigetto dell’istanza, specificava che “la relativa domanda avrebbe dovuto essere ripresentata (…), limitando la richiesta di prolungamento ad un massimo di anni 20 dalla data di rilascio della concessione n. 2/2010”.
Interessante si presenta uno dei motivi di doglienza avanzati dalla difesa (Avv. Nesi) dell’impresa balenare.
Essa, infatti, per presentare all’organo giudicante la fondatezza della pretesa adita, affermava che fosse proprio il Comune di Follonica a non rispettare i riferimenti eurounionali espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E., Promoimpresa–Melis del 14 Luglio 2016.
In buona sostanza provava a far leva su quei riferimenti di diritto eurounitario (incompatibilità delle proroghe generalizzate e valutazione caso per caso) che ancora ad oggi le associazioni di categoria osteggiano non ritenendoli applicabili alla materia delle concessioni demaniali.
In particolare sosteneva che “erroneamente il Comune di Follonica ha ritenuto che la durata del rapporto concessorio in essere non potesse essere prolungato al fine di consentire l’ammortamento degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati; diversamente da quanto divisato dall’a.c. la rideterminazione della durata della concessione d.m. è necessitata tenuto conto che, in base ai principi desumibili dalla sentenza Promoimpresa, il prolungamento della concessione si impone ogni qualvolta il concessionario dia prova di aver effettuato investimenti non ancora ammortizzati”.
Non solo: la difesa riteneva che fosse applicabile al caso di specie, udite udite, non “la proroga generalizzata bensì quella caso per caso da applicare alle concessioni in essere in ragione di investimenti non ancora ammortizzati”.
In buona sostanza la società ricorrente sosteneva che:
1) il caso di specie non inerisce “ad una proroga automatica ex comma 18° dell’art. 1 D.L. n. 194/2009 s.m.i. ovvero ex commi 682-683 dell’art. 1 legge n. 145/2018, cui soltanto sarebbero da riferire le conclusioni delle citate decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato”;
2) “la domanda della società ricorrente riposa invece sull’art. 1, comma 2°, della c.d.m. n. 2/2010, il quale fa salva la facoltà del concessionario“ di avvalersi di quanto previsto dal comma 4-bis dell’art. 03 D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 conv. in legge 4 dicembre 1993, n. 494, “in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare, già introdotto al momento della conclusione del procedimento e tuttora vigente”.
Il Tar Toscana ha respinto il ricorso con una motivazione che sicuramente verrà ripresa anche da altri consessi amministrativi regionali in quanto esprime un giusto coordinamento della normativa in materia con l’elaborazione giurisprudenziale costituzionale ed amministrativa prodotta negli ultimi 12 anni, da ultimo con quella espressa in “nomofilachia” dalle sentenze gemelle n. 17 e 18 dell’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 9 Novembre u.s..
Vediamo come motiva il rigetto del ricorso l’ organo giurisdizionale amministrativo toscano.
Il TAR Toscana riprende sì i principi affermati dalla giurisprudenza nazionale e euro-unitaria, ritenendo che essi “convergono nel senso di estenderne gli effetti anche a moduli che, al fuori di uno stretto ed asettico automatismo, valorizzino l’entità e la rilevanza economica delle opere da realizzare”; ma sancisce anche che, contrariamente a quanto assunto dalla difesa dell’ Ultima Spiaggia S.r.l., “con riferimento particolare alla presente fattispecie, siffatta valorizzazione non possa comportare né un possibile effetto di proroga né un preliminare obbligo di riscontro”.
“L’Adunanza Plenaria nel ribadire la necessita delle pubbliche evidenze”, afferma perentoriamente il Tar Toscana, in contrasto quindi con le tesi difensive della ricorrente, “precisa che i presupposti canoni assiologici di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento e gli obblighi di trasparenza e di pubblicità debbano trovare applicazione ad ogni fattispecie […] che dia luogo a prestazione di attività economiche o che comunque costituisca condizione per l’esercizio di dette attività” (punto 15 delle sentenze).
Non solo: i giudici toscani, oltre a riaffermare il falso problema della Direttiva Bolkestein vista l’applicazione diretta della fonte primaria e cioè dell‘ art. 49 TFUE, per avversare le motivazioni giuridiche della ricorrente, riprendono tutta produzione giurisprudenziale della Consulta che a cominciare dalla n. 180 del 2010 (legge n. 8/2009 Emilia Romagna) ribadivano che “al di là delle singole fattispecie, dall’esame delle pronunce citate si evince (appunto già a partire dal 2010) che, nel procedimento di assegnazione dei beni demaniali, occorre assicurare il rispetto delle regole della par condicio, tra cui, in primis, l’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal precedente concessionario e dagli altri aspiranti”.
Già basterebbero questi assunti per definire ulteriormente chiusa la questione una volta per tutte con buona pace di quelle associazioni di categoria (non tutte, a dire il vero) che come quei “fantasmi giapponesi” che negli anni ’70 venivano ritrovati nelle isole dell’Indonesia convinti che la seconda guerra mondiale fosse ancora in corso, ritengono ad oggi che la Bolkestein non si applichi alle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo (che come abbiamo appena detto è in ogni caso un falso problema vista l’applicazione diretta del diritto unionale primario e cioè del T.F.U.E., art. 49,56,106).
Il Tar Toscana però affonda ulteriormente il colpo riproponendo la corretta interpretazione del principio del legittimo affidamento come delineato dalla Corte di Giustizia ed affermando che “il fine di tutelare il legittimo affidamento dei titolari di tali autorizzazioni, in quanto consente di ammortizzare gli investimenti da loro effettuati, potrà trovare consistenza solo al momento di stabilire, secondo trasparenza e par condicio partecipationis, le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali”.
La chiosa finale della pronuncia del TAR Toscana è che “la valutazione concreta dell’ entità e della rilevanza economica delle opere” che un concessionario demaniale marittimo realizza nelle more di efficacia delle concessioni, non può assurgere a motivo giustificatore di richiedere singolarmente, come invece richiesto dalla ricorrente “Ultima spiaggia SRL”, ed al di fuori di una procedura comparativa, un allungamento della concessione anche se la richiesta si collega all’ art. 3, comma 4-bis, D.L. n. 400/1993 ( e quindi si presume per atto formale vista la durata fino a 20 anni).
L’odierna pronuncia si presenta come “un avvertimento autorevole e cautelare” non solo per tutti quelli che volessero provare a trovare “pertugi giuridici” nel sistema, ma anche per gli enti concedenti (non in questo caso il Comune di Follonica che se ne è ben guardato di recepire favorevolmente l’istanza) che, caso mai, volessero assecondare i concessionari in interpretazioni fantasiose e creative del diritto unionale.
Siccome anche a Rimini sono in corso tentativi velleitari di tale portata, magari anche con pretese subdole di accorpare le concessioni in spregio alle doverose pubbliche evidenze ( “investo tot, accorpo due, tre concessioni di cui ho la titolarità e tu Comune di Rimini mi concedi una singola proroga, quindi legittima perché non generalizzata, per 20 anni…”) è bene che i funzionari comunali dei comuni costieri, marittimi e lacustri, si guardino bene dal lasciarsi indurre in pericolose tentazioni fonti di sicure responsabilità erariali e non solo.
Roberto Biagini