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“Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo Re”

Come ho ricordato la scorsa settimana descrivendovi un preoccupatissimo (per non dire terrorizzato) Vittorio Emanuele II che decide di ‘annacquare’ la Romagna incorporandola nella pacifica Emilia, la nostra regione, soprattutto dal 1821 al 1849, spaventava un po’ tutti dai papalini ai monarchici dai preti ai benpensanti.

E pensare che da giovane Universitario ero convinto che canzonacce sul tipo “Bruceremo le chiese e gli altari – bruceremo i palazzi e le regge – con le budella dell’ultimo prete-impiccheremo l’ultimo Re” e “il Vaticano brucerà – Il Vaticano brucerà con dentro il Papa” fossero creazioni goliardiche da cantarsi in coro per le strade di Bologna assieme ai ‘Misteri Gaudiosi e Dolorosi,’ alle ‘Osterie’ e a tutta la allegra e disimpegnata produzione libertaria che precedette di qualche anno, sempre nelle università, la truce e serissima contestazione sessantottina. E dunque rimasi davvero sconcertato quando mi resi conto che si trattava di veri e propri inni rivoluzionari prodotti, durante il Risorgimento, dal turbolento ribellismo romagnolo. E che di conseguenza, i propositi incendiari e forcaioli ivi contenuti erano da prendersi assolutamente sul serio!

E basti un esempio che traggo dalle cronache del tempo. Nel 1849, dopo la proclamazione della Repubblica Romana e la fuga del Papa a Gaeta, i fautori della Romagna laica e repubblicana erano talmente andati su di giri che perfino il Capitano della Guardia Civica Riminese, Ing. Francesco Galli, era giunto a far affiggere manifesti a stampa in cui si leggeva testualmente “essere meglio mangiarsi i propri figli come pane che tornare sotto l’infame governo del prete”. E, si trattava del medesimo Galli che, secondo l’accusa mossagli dopo la Restaurazione papale, avrebbe solidarizzato con le Guardie sotto il suo comando, quando il parroco di Ciola Corniale Don Tommaso Legni (uno dei più odiati capi della controrivoluzione papalina) venne da loro ucciso a fucilate mentre si trovava custodito presso la Caserma dei Carabinieri di Sant’Arcangelo, dopo essere stato arrestato nella sua Parrocchia.

Naturalmente sia gli assassini che il Capitano, accusato di correità, tutti riminesi, vennero processati dopo la caduta della Repubblica Romana dal Tribunale della Sacra Consulta competente per i reati contro il clero. Eugenio Lucchini e Giuseppe Antolini, rispettivamente di 23 e 25 anni, vennero condannati a morte mediante decapitazione, eseguita nel cortile delle Carceri di Forlì. Ciro Zaoli, minore di diciotto anni al momento dei fatti si beccò vent’anni. Il Capitano (pur autore del libello succitato che non deponeva certo a suo favore) se la cavò per il rotto della cuffia, assolto col beneficio del dubbio sulla contestata connivenza con gli uccisori. Al dottor Rocco Rocchi, che chiamato a prestar soccorso al prete che si era sentito male subito dopo essere stato arrestato nella sua parrocchia, non solo si era rifiutato di assisterlo ma aveva estratto una pistola minacciando d’ucciderlo (!) venne inibito per sempre l’esercizio della professione.

Eh, già. Vittorio Emanuele non aveva tutti i torti appiccicando la Romagna agli ex ducati ed ex legazioni (leggi: Emilia) “affinchè nel loro moderatismo venga stemperato il rivoluzionarismo dei romagnoli”.

Il fatto è che, a tutt’oggi, siamo ancora lì.
Con la vaga sensazione che ci stiano ancora ‘stemperando’

Giuliano Bonizzato

(Nell’immagine in apertura: Francesco Redenti, Meglio andare avanti affrontando Scilla che tornare indietro per essere divorato da Cariddi, litografia, in Il Fischietto, 10 marzo 1859)

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