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Ci voleva un Sanremo così

Si può dire che quest’anno Sanremo ci voleva proprio? E un Sanremo così, pieno di giovani spudorati e discinti e di vegliardi col turbo, senza scandali né comici salvatori della patria né superospiti stranieri paracadutati e condiscendenti, dove la trovata più coinvolgente, il Fantasanremo, non è stata ideata da un pool di autori strapagati, ma da una compagnia di buontemponi al tavolo di un bar di Fermo.

Risultato, il miglior share dall’edizione 1995, un altro secolo, un’altra Italia. E non solo grazie al solito affezionato pubblico di Raiuno – Rsa, ospedali, monasteri femminili – ma soprattutto per merito di un esercito di ragazzini che la televisione non l’accendono mai e la considerano un dispositivo da vecchi, come il catetere e l’adesivo per dentiere.

Ci voleva un Sanremo così per farci sentire un po’ più uniti, un po’ più complici, dopo la breve parentesi affratellante dei successi olimpici l’estate scorsa. Dall’autunno in poi, con l’irrigidimento delle restrizioni anti-Covid e la guerra civile del green pass, fiumi di bile ci hanno diviso dai vicini, dai colleghi e dal prossimo in generale. Sono stati depennati parenti di primo e secondo grado, si sono spezzate amicizie secolari, e anche le feste di fine anno, lungi dallo stemperare l’odio, l’hanno se possibile esacerbato.

Ora, è difficile che Sanremo riunisca ciò che il green pass ha diviso e che quella che Amadeus sta officiando sul palco dell’Ariston sia una specie di immensa terapia di gruppo in cui gli italiani sublimano l’ostilità reciproca e ritrovano il gusto di guardare tutti dalla stessa parte, a prescindere dall’età e dalla completezza o meno del loro ciclo vaccinale. Però per qualche giorno è stato così, effetto aumentato dalla quasi continuità con il Festival del Quirinale, noiosissimo, pieno di stecche e concluso con il bis del vincitore dell’edizione precedente per manifesta incapacità della giuria di indicarne uno nuovo.

Siamo passati dall’ingiustificata adrenalina di Mentana alla scioltezza rassicurante di Amadeus, e ci è tornato il sorriso. Zanicchi, Ranieri e Berti, arzillissimi, giocherelloni e tutt’altro che patetici, sono i vecchi che vorremmo tutti diventare, e non è difficile se, come loro, continuiamo ad apprezzare la vita, a prenderci cura di noi stessi, a coltivare le nostre passioni e ad accettare le sfide. Mahmood, La Rappresentante di Lista e Ditonellapiaga sono gli incomprensibili ma talentuosi giovani d’oggi, belli e furbi e a proprio agio nella loro pelle, e speriamo che facciano ricordare ai nostri ragazzi, tartassati da due anni di clausura e di Dad, che là fuori, a pochi punti di Rt di distanza, c’è un ancora mondo da conquistare, tante emozioni da assaggiare e tanto amore da condividere, senza barriere né pregiudizi.

E quei tiggì notturni di sessanta secondi, stringati ed essenziali, ci hanno svelato il segreto meglio custodito dei mass-media: l’eccesso di informazione politica, lungi dal renderci migliori e più consapevoli, ci mette solo più ansia e malumore. Si vive benissimo, anzi meglio, con le notizie essenziali, senza il bollettino minuto per minuto degli scazzi fra Conte e Di Maio e dello sfarinamento del centro-destra (e dei nostri zebedei).

Fra poco inizierà una campagna elettorale più estenuante e deprimente del long Covid, ma l’umore dell’elettorato l’ha già anticipato la Rappresentante di Lista: «con le gambe, con il culo, coi miei occhi ciao-ciao».

Lia Celi

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