Sulle chat oggi circolano i ricordi di Ennio Balsamini, il compagno che ieri ci ha lasciato.
Si ricorda la sua generosità, la sua ruvida simpatia, la fervente militanza antifascista, l’incrollabile impegno nella sinistra e nelle sue varie articolazioni. Tutto vero, tutto vissuto con semplicità e serietà.
Per un breve periodo militammo insieme nel Partito di Unità Proletaria. Ennio proveniva dalla crisi del PSIUP dopo il fallimento elettorale del ’72 e dopo una solida militanza nel Partito comunista pesarese. Ciò che in particolare mi colpì frequentandolo fu la capacità di ascoltare che non era mai “neutra” o passiva, anzi era ricca di passione e di curiosità verso gli altri. Poi, alla base del suo rapporto con la politica, c’era una specie di relativismo laico che strideva un po’ con il clima di quegli anni attraversati da grandi passioni. Un relativismo che l’aiutava a raggiungere il nocciolo delle questioni di cui si dibatteva.
Andavamo a fare volantinaggio davanti alle fabbriche di Villa Verucchio; durante il tragitto Ennio sottolineava il carattere puramente simbolico della nostra presenza militante, togliendoci ogni illusione di incidere sulla condizione operaia di quel distretto produttivo dove appena cominciava ad affacciarsi il Sindacato.
Ricordo una sua memorabile uscita al termine dell’infinita discussione su un documento da inviare a Roma alla Direzione del nostro piccolo partito. Raggiunto finalmente l’accordo sul testo da inviare, Ennio sfoderò il suo splendido dialetto urbinate e disse: “Avim fat. A Roma manc il leghen, il ciàpen e il cestinen!”
Era un modo per dire: “Non importa se lo leggeranno o no, quello che conta è che ci siamo confrontati e da questo confronto usciamo più consapevoli!”
Giuseppe Chicchi