Giuseppe Chicchi risponde all’intervento di Antonio Mazzoni, che a lui era rivolto con il titolo ”Caro Chicchi rompere per ricostruire oggi non funziona”:
Breve replica ad Antonio Mazzoni al quale ricambio l’antica stima. Veniamo entrambi da quella generazione di “sornioni” per la quale il mantenimento di un certo grado di coerenza rappresenta un valore.
Scrivo soprattutto per chiarire il significato della mia frase: “Per unire bisogna rompere” che é riferita anche alla rottura del PD attuata da MDP, ma ha un valore più generale.
E’ finito il tempo nel quale vigevano il “fedeli alla linea” e il centralismo democratico. Cose che forse avevano un senso quando il mondo era diviso in sfere d’influenza. Sono convinto che l’appartenenza alla sfera filosovietica abbia danneggiato il PCI che, proprio con Gramsci e Togliatti e con la teoria del “partito di massa”, stava cercando una propria, originale, via europea basata sul binomio “più cresce la democrazia, più cresce il socialismo”.
Insisto, finita l’epoca dell’appartenenza, bisogna avere il coraggio delle rotture dialettiche. Berlinguer, ad esempio, fu uomo di rottura. Ne cito tre:
a) parlò della fine della spinta propulsiva del socialismo “reale” nel 1981;
b) lanciò la proposta dell’austerità nel 1977, in pieno boom economico (“austerità significa rigore, efficienza, serietà e giustizia”);
c) nell’80, davanti alla Fiat, appoggiò l’occupazione della fabbrica contro i 14mila licenziamenti di Romiti. Rotture, esempi di riformismo vero, quello che cambia lo stato presente delle cose.
La mia frase sulla necessità delle “rotture” si riferiva a quei dirigenti del PD che, guardando i risultati elettorali e avendo capito quello che stava succedendo, non hanno saputo o voluto “rompere”. Non hanno messo in discussione una leadership perdente e soprattutto palesemente inerme di fronte all’onda che cambiava la politica e la democrazia italiana.
Un esempio? Il silenzio di Martina che mentre cerca un confronto con i 5 Stelle per impedire la saldatura dei due populismi, si fa smentire da Renzi (a che titolo?) in una comparsata televisiva da Fazio e, senza neppure protestare, relega il 18% del PD nell’area dell’ininfluenza. Per paura di “rotture”, tutti a mangiare pop corn!.
Per ragioni evidenti e per lo spessore dei temi sollevati da Antonio, la sinistra appare ora come un cantiere di macerie. Giovani e vecchi “sornioni” sono chiamati a rimboccarsi le maniche di fronte a questioni nuove per merito e per dimensione. A ben guardare, nessuna delle cose citate si può affrontare dal lato “interno”, sovranista, dei muri di Trump o del governo gialloverde; tutte invece rinviano all’attualissimo “Proletari di tutto il mondo unitevi!” del 1848.
La sfida al turbocapitalismo oggi si gioca a livello almeno europeo: politiche fiscali, contrattuali, demografiche, energetiche, flussi migratori e sviluppo dell’Africa, ecc. ecc. Se la sinistra saprà unire in Europa e nel mondo vecchi proletari e nuovi ceti proletarizzati, tornerà a vincere.
Giuseppe Chicchi