Partiranno 5 pullman dalla provincia di Rimini nella notte tra tra venerdì e sabato 2 dicembre per Roma, dove confluiranno gli abitanti della regione Emilia Romagna in occasione della manifestazione indetta dalla CGIL “Per cambiare il sistema previdenziale, per sostenere sviluppo e occupazione, per garantire futuro ai giovani“. E ancora, “Per dare maggiore libertà di scelta su quando andare in pensione, per una effettiva rivalutazione delle pensioni.”
Si prevede la partecipazione di più di 300 persone.
“I conti non tornano” è lo slogan della manifestazione perché non ci sono risposte adeguate sulla pensione dei giovani, sulle donne, sull’aspettativa di vita, sul lavoro di cura, sui lavoro gravosi. Infatti, “Il Governo – osservano la CGIL Emilia-Romagna – ha voluto tenere a riferimento solo i conti e non ha voluto dare risposte ai bisogni veri del Paese e di quel mondo che ha pagato più degli altri il prezzo della crisi, cioè il mondo del lavoro. I mali strutturali del mercato del lavoro, peggiorati con il Job’s act e con gli altri interventi su ammortizzatori e mercato del lavoro, sono ancora tutti da affrontare e anche le politiche d’incentivazione di questi ultimi anni sono pressochè inutili in quanto non supportate da un forte rilancio degli investimenti, dalla valorizzazione del lavoro stabile e dignitoso, dal sostegno all’innovazione e alla ricerca.”
Questa prima iniziativa di mobilitazione di lavoratori, giovani e pensionati è stata decisa dalla CGIL dopo il confronto con il Governo da cui sono venute risposte giudicate del tutto insufficienti rispetto alle proposte del sindacato, ma anche rispetto agli impegni condivisi un anno fa.
Tra le richieste ci sono:
– l’introduzione di una “pensione di garanzia” per i giovani, stretti tra carriere discontinue e redditi bassi;
– il superamento della disparità di GENERE e la valorizzazione del lavoro di cura attraverso: la diminuzione del requisito per la pensione di vecchiaia per le donne (1 anno per ogni figlio fino a 3 anni ) e un riconoscimento sul lavoro di cura per i familiari più vicini; dal Governo è arrivata una risposta del tutto inadeguata in quanto la diminuzione del requisito contributivo per le donne (1 anno per figlio fino a due anni) riguarderà solo l’APE sociale del tutto insufficiente come lo è la risposta del Governo sul lavoro di cura;
– il blocco dell’intollerabile meccanismo dell’aumento dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita; dal 1 gennaio 2019 si andrà in pensione 5 mesi dopo; la risposta del Governo è stata positiva solo per 15 categorie di lavoratori che svolgono lavori gravosi mentre gli altri continueranno a versare contributi per 43/44 anni e a “godere” di 13/15 anni di pensione. “Da dire a questo proposito che si vive di più ma spesso non in buona salute.” – osserva la CGIL.