Franco Cersare Sebastiani, 79enne, di Novafeltria è stato uno dei primi malati di covid in provincia di Rimini. Ricoverato a Rimini e a Novafeltria poi, sia in Rianimazione che in Medicina e Lungodegenza. Intubato per 15 giorni e poi uno dei primi a essere “estubato”, il 21 marzo scorso, ha vissuto un’esperienza difficile e intensa, che l’Ausl della Romagna ha raccolto in un video in occasione della Giornata Mondiale per la sicurezza delle cure e della persona assistita.
Per lui è stato necessario infatti anche un lungo periodo di riabilitazione: 24 giorni. E ora dice: “Quando mi chiedono come sto io rispondo: meglio di prima”.
Quando era arrivato in ospedale a Rimini, visto il quadro clinico e la diagnosi di Coronavirus, i medici hanno deciso di ricoverarlo subito in Rianimazione, dove è stato sedato e intubato. Di quel momento ricorda solo le voci. Alcune parole. “Medici o infermieri, non lo so, che mi facevano coraggio… Poi più nulla. Fino a quando mi sono risvegliato…”.
E ricorda: “Verso fine febbraio sono andato al compleanno della mia nipotina che abita fuori regione, una festa che si è svolta in una sala con tante persone. Qualche giorno dopo sono rientrato a casa e ho iniziato ad avere la febbre. Ho preso la tachipirina e all’inizio è abbassata, ma poi è tornata molto alta e facevo fatica a respirare. Allora ho deciso di andare al Punto di Primo soccorso di Novafeltria”.
E lì cosa è successo?
“I medici hanno capito che ero un caso sospetto di Coronavirus e così mi hanno subito isolato e, con una ambulanza attrezzata, mi hanno portato all’ospedale di Rimini”.
Lì è stata confermata la diagnosi ed è stato subito ricoverato in Rianimazione?
“Sì hanno visto subito che la situazione era grave e così mi hanno ricoverato in Rianimazione e quasi subito intubato. Di quel periodo non ricordo nulla. Ricordo solo quando mi sono risvegliato”.
Poi all’“Infermi” è rimasto qualche altro giorno…
“Sì per riprendermi. Ho iniziato a fare la riabilitazione: all’inizio è stata dura, ero molto debilitato e non mi reggevo in piedi, ma con le fisioterapiste ho iniziato a recuperare la stazione eretta aiutandomi con un deambulatore e ho fatto il primo passo. Poi mi hanno trasferito qui a Novafeltria”.
E ha ripreso anche i contatti coi suoi famigliari?
“Sì, mia moglie, con tutte le cautele del caso, viene a portarmi abiti e altre cose. E ho potuto parlare al telefono anche con altri conoscenti: mi hanno detto che, per quelle che erano le mie condizioni, mi avevano dato per spacciato. E invece eccomi qui…”.
Cosa vorrebbe dire alle altre persone che, invece, sono ancora malate e alle loro famiglie?
“Che ci vuole tanta pazienza e che bisogna fidarsi di quello che raccomandano i medici. Bisogna rispettare le regole. Se ci viene detto che è meglio non uscire di casa bisogna fare così, non c’è altro da fare. E poi vorrei ringraziare tanto e di cuore tutti i medici, infermieri, operatori con cui ho avuto contatto e che si sono presi cura di me. Rianimatori, infettivologi, riabilitatori e specialisti di altri servizi. Tutti molto bravi, professionali, e tanto gentili. Non ce ne è stato uno che abbia avuto un qualsiasi gesto di impazienza o scortesia, nonostante il grande impegno che sopportano. E vorrei fare un complimento anche alle cucine ospedaliere per la qualità e il gusto del cibo. Da zero a dieci, tutti meritano il massimo dei complimenti”.