L’Amministrazione comunale di Riccione fa sapere che “E’ in corso di pubblicazione il bando di valorizzazione del Castello degli Agolanti per riqualificare l’immobile e renderlo sempre più disponibile per cittadini e turisti. La pubblicazione del bando è prevista lunedì 3 ottobre e rimarrà in vigore fino a febbraio così da consentire un periodo esteso e favorire un’ampia partecipazione di progettisti. L’obiettivo è quello di riqualificare e restituire alla città il castello e il parco adiacente inclusa l’area ex Cocomero che, sia per la posizione in collina, che per le potenzialità necessita di essere meglio valorizzato da punto di vista ambientale, culturale e socio-economico”.
“Relativamente al progetto ritenuto il migliore e nel caso il Comune intenda avvalersene per procedere all’idea di valorizzazione del castello – prosegue il comunicato – è prevista la facoltà di assegnare direttamente al vincitore del concorso l’ elaborazione futura per la parte ritenuta più utile senza ricorrere ad un ulteriore bando.
Il castello, bene tutelato dal D.Lgs 42/2004 rientra tra le costruzioni più antiche di Riccione, residenza della famiglia degli Agolanti di origine toscana giunta nel 1260 nel territorio riminese, attualmente consta di una superficie complessiva di 1800 mq, due sale, uno spazio adibito a laboratorio e un deposito”.
Del casato degli Agolanti si sa che nel Duecento era fra i maggiori di Firenze, con beni concentrati soprattutto a Vieglia, presso Fiesole. Di parte guelfa, gli Agolanti furono esiliati dalla loro città nel 1260 dopo la battaglia di Montaperti, dove i fiorentini vennero duramente sconfitti dai ghibellini di Siena. Molte famiglie seguirono lo stesso destino, fra le quali gli Agli e gli Adimari, pure loro approdati in una Rimini ormai anch’essa guelfa dopo il voltafaccia e l’irresistibile ascesa dei Malatesta. Un altro ramo degli Agolanti finì a Ravenna. Il capo degli Agolanti riminesi era Jacopo, che però continuava a firmarsi Jacobi de Agolantibus de Florentia. E ancora nel 1311 suo figlio Onosdeo, assieme al nipote Buffio, faceva istanza al Comune di Firenze per poter rientrare in patria. Ma non ci fu nulla da fare e da allora gli Agolanti discendenti di Jacopo restarono a Rimini per sempre; diversamente, pare, dal ramo ravennate, che a un certo punto riapparve a Firenze.
Una figlia di Onosdeo fu Chiara: ricchissima, dopo una vita gaudente e spensierata, colpita da “un turbamento” decise di mutare vita dandosi alla pietà, alle opere buone e alla penitenza. Una delle sua attività fu di fornire dote ed assistenza a tutte le ragazze povere da sposare. Intorno a Chiara si formò un gruppo di pie donne; insieme fondarono un piccolo convento detto di S. Maria degli Angeli, poi successivamente di S. Chiara; la Chiara riminese aveva infatti adottato la Regola della Santa francescana di Assisi, benedetta dal vescovo di Rimini Guido Abasio.
Morì a 46 anni il 10 febbraio 1336, “consumata dalle penitenze e dalla contemplazione”; la sua tomba nella chiesa del monastero fu per secoli oggetto di venerazione per i Riminesi.
Per antica tradizione gode del culto di Beata e festeggiata il 10 febbraio.
Anche sul piano politico, a Rimini gli Agolanti avevano subito acquisito uno stato di rilievo. Nel 1333 la loro residenza – tutt’ora esistente, il palazzo Agolanti-Pedrocca, ex Banca d’Italia, in piazza Ferrari – dava già il nome a un luogo cittadino: quel “trebbo (trivio) dell’Agolante” dove in quell’anno i Malatesta concentrarono le loro truppe durante uno dei tanti tumulti cittadini. Ai signori della città gli Agolanti furono sempre fedeli, fino all’onore di poter inserire nel loro stemma la “bordura inchiavata d’oro e nero” che incorniciava il blasone malatestiano. L’insegna degli Agolanti, un’aquila d’oro in campo rosso, si può ancora vedere in Corso d’Augusto, sul muro esterno della chiesa di Santa Maria dei Servi; all’interno di essa, in corrispondenza dello stemma, gli Agolanti avevano fatto costruire una loro cappella, decorata con affreschi della scuola riminese del Trecento di recente tornati alla luce.
Il “castello” che la famiglia possedeva sulla collina di Riccione era chiamato “Tomba degli Agolanti” o “Tomba Bianca”: per “tomba” si intendeva “fattoria fortificata”, che nei secoli divenne una residenza di lusso. Nel 1657 ospitò Cristina (ex) Regina di Svezia, costretta a dimorarvi a lungo in attesa che a Roma, dove era diretta dopo la sua conversione al cattolicesimo, si spegnesse l’ennesima pestilenza. Ancora nel 1743 il notaio Ubaldo Marchi la segnalava come “una delle fabbriche, anzi la migliore che sia nel territorio di Rimino”.
La decadenza giunse nell’Ottocento, seri danni si ebbero con la seconda guerra mondiale, il vandalismo e l’incuria diedero il colpo di grazia. Fino a qualche anno fa la Tomba Bianca era un rudere svettante su quella che ormai era diventata la “collina delle discoteche”. Poi i restauri – con criteri non da tutti condivisi – e i tentativi di un reimpiego, compresa l’esperienza del “Cocomero”.
Tutto finito in niente, almeno fino alle prossime risposte al bando comunale.