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Canoni abnormi, le darsene a Conte: “La imploriamo, sblocchi questa situazione”

“Signor Presidente del Consiglio, la imploriamo di di fare qualcosa per sbloccare questa situazione”. I porti turistici sono allo stremo. Alla crisi del settore, che non è solo italiana, da noi si somma la spada di Damocle dei canoni demaniali moltiplicati in modo abnorme, che grava da 12 anni sul capo delle società concessionarie. E allora il presidente di Assomarinas, che riunisce i porti turistici italiani, prende carta e penna e scrive a Giuseppe Conte.

O meglio, Roberto Petrocchio, appunto, implora: “Faccia quanto in suo potere per risolvere l’annosa controversia”. E indica due strade. Una sarebbe richiedere all’Agenzia del Demanio una circolare chiarificatrice. Oppure, inserire nella prossima legge di bilancio una norma interpretativa. Norma che potrebbe anche essere introdotta nella riforma del Demanio già delegata alla stessa Presidenza del Consiglio con la finanziaria del 2018.

Assomarinas propone anche quale potrebbe essere in testo di questa norma, suggerito dal professor Stefano Zunarelli, dicente di diritto della Navigazione all’Università di Bologna.

Eccolo: “Alle concessioni di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto rilasciate ai sensi del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509, o dell’art. 36 del codice della navigazione, non si applica, fino alla scadenza della concessione, la disposizione di cui all’art 1 comma 251 della legge 2006, n. 296”.

Fu questa norma del 2006 , che era poi la finanziaria per il 2007, a scatenare l’aumento dei canoni. Perché scritta senza tener conto “della specificità degli atti formali di concessione dei porti turistici – ricorda Petrocchioche sono basati sull’impegno da parte dell’investitore a realizzare le opere”. E cioè: il privato costruisce a spese una darsena in un’area demaniale che ha ricevuto in concessione e per la quale paga un certo canone. Lo stato alla fine della concessione si tiene la darsena. Ma se un bel giorno quel canone viene aumentato anche del 500%, com’è avvenuto, non c’è investimento che possa reggere.

Lo ha riconosciuto anche la Corte Costituzionale, che “con sentenza n. 29 del 2017 – cita il presidente di Assomarinas – ha evidenziato con chiarezza come tale norma di incremento presenti profili di irragionevolezza”. La Corte aveva anche auspicato una nuova normativa che tenesse conto dei patti firmati dallo stato con quel privato che “stia realizzando a sue spese importanti infrastrutture portuali da quelli in cui tali infrastrutture esistano già e non comportino quindi costi”. Sembrerebbe la cosa più ovvia del mondo. Però, passati governi di ogni colore, la norma auspicata dalla Consulta finora non si è vista.

E a nulla sono valse anche diverse pronunce del giudice amministrativo. Ultima la corte d’appello di Ancona riguardo la darsena di Fano. Ma le cause pendenti sono ancora decine, compresa quella che riguarda Marina di Rimini.

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