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Cannabis light a Rimini: “Noi demonizzati dalla politica e dall’ignoranza”

CBweed di Rimini è uno dei tantissimi negozi che sono nati in Italia per vendere cannabis light e prodotti derivati dalla canapa light. Fra questi, prodotti alimentari e bevande, come biscotti, caramelle, vino, energy drink, birre, infusi, ma anche cosmetici, abbigliamento, calzature, gadget. Sono sorte intere catene di cannabis shop, anche in franchising, come nel caso nel negozio di via Bertola.

In Italia attività è legale dal gennaio 2017, e a maggio 2018 il ministero dell’Agricoltura aveva certificato ufficialmente che produrre e vendere cannabis light in Italia è consentito. Ma la regolarità di questo commercio è stata messa a serio rischio dalla sentenza della Corte di Cassazione, che il 30 maggio 2019 ha stabilito che la vendita di prodotti derivati dalle inflorescenze della cannabis light costituisce reato. Nel verdetto si specifica che la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, compresi l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina.

Inoltre un anno fa il Consiglio superiore della sanità  fa aveva dato parere negativo sulla vendita della canapa nei cannabis light shop. Da parte sua  il ministro dell’Interno Matteo Salvini sui cannabis shop è stato molto chiaro: “Li voglio vedere chiusi uno a uno. Ci saranno controlli a tappeto. Adesso basta, ci vogliono le maniere forti”. 

Risultato: confusione totale. Molti che hanno investito in questo settore che pareva promettente, a iniziare dagli agricoltori, ora sudano freddo.

Fabio Elleri e Nicola Fabbri, titolari di CBweed Shop Rimini, provano a spiegare come stanno le cose e in che situazione sono venuti a trovarsi.

Che cos’è la cannabis light?

«La cosiddetta “Cannabis light” è un particolare tipo di cannabis, legale nel nostro paese in quanto priva di quello che in gergo viene definito “effetto drogante”. Questo avviene visto che la pianta, ottenuta da incroci genetici, ha un principio attivo psicotropo (il THC) inferiore al limite massimo consentito dalla legge di 0,6%». 

E non è una droga?

«No. Basti pensare che la classica marijuana considerata “droga” contiene in genere quantità di THC ben più alte (spesso tra il 10% e il 20%), per capire che la cannabis light, con il suo esiguo contenuto di principio attivo, non può davvero reggere il confronto».

Ma se non “sballa”, qual è il senso della cannabis light?

«Giusta osservazione. C’è una spiegazione anche per questo. Dopo aver fatto chiarezza sulla questione THC, è importante sottolineare una seconda importante caratteristica del prodotto: l’elevata percentuale di CBD in esso contenuta. Il CBD è un altro principio attivo naturalmente presente nella Cannabis Sativa L. (il nome botanico di tutta la cannabis), e che tocca vette altissime nella cannabis light (10%-20%). Il CBD, al contrario del cugino THC, non ha effetti psicotropi, anzi apporta una serie di benefici all’organismo umano (ma non solo) provati a livello scientifico e medico. Si tratta di un potente miorilassante, antinfiammatorio, ansiolitico, antidepressivo, antiemetico e antiepilettico naturale. Può essere una valida alternativa ai classici medicinali da banco analgesici e antinfiammatori quando si parla di mal di testa, mal di schiena, dolori mestruali, difficoltà ad addormentarsi, ma anche in situazioni di stress intenso e ansia. Oltre a questa serie di problematiche di entità “media”, il CBD può aiutare a combattere i sintomi di patologie ben più gravi quali Parkinson, Alzheimer, distrofie, crisi epilettiche, fibromialgia e di trattamenti invasivi come la chemioterapia».

Come si è creato il caos legislativo in cui vi ritrovate?

«Il 2 dicembre 2016 è stata promulgata la legge 242/16 che regolamenta e consente la coltivazione delle varietà di Cannabis Sativa L. contenute all’interno dell’elenco europeo delle piante con THC inferiore ai limiti di legge.
Il provvedimento, entrato in vigore il 14 gennaio del 2017, aveva finalità di promuovere e incentivare la filiera della canapa a livello nazionale, sostenere le opere di coltivazione, trasformazione, bioingegneria, ricerca, sviluppo, produzione e consumo di semilavorati a base di canapa».

E poi?

«Questo “via libera” ha concesso a tantissimi giovani imprenditori di impiegare tutte le proprie idee ed energie nella creazione di un business totalmente nuovo, all’avanguardia (per il nostro paese), eretto sulla base di importanti valori etici e sociali. Lo scopo delle centinaia di aziende che sono sorte dal 14 gennaio 2017 a oggi è sempre stato quello comune di fermare la persecuzione e demonizzazione della pianta di cannabis, per mostrare i suoi reali impieghi e molteplici benefici a un pubblico più vasto e non solo di nicchia».

Ma non tutti si sono lasciati convincere a quanto pare. Che problemi avete avuto?

«Alcune parti politiche e le forze dell’ordine hanno spesso dato filo da torcere ai commercianti dei prodotti derivati dalla cannabis light, anche sulla base di un vuoto normativo che non chiarisce esplicitamente come possa essere venduto e utilizzato il fiore di cannabis light. A oggi infatti, lo si commercializza per scopi di ricerca e di analisi di laboratorio, come prodotto da collezionismo o profumatore per ambienti, insomma non da consumo umano di nessun tipo. Un vero e proprio controsenso, se consideriamo tutti gli effetti benefici che il CBD può scientificamente apportare all’organismo e l’inesistenza di effetto drogante. In questi due anni e mezzo di attività, i cannabis light shop sono spesso stati oggetto di controlli, come è normale che sia, ma anche di veri e propri blitz e retate, con conseguenti sequestri e denunce per detenzione e spaccio di stupefacenti nei confronti dei titolari. In merito, si sono poi espresse le varie sezioni della cassazione emettendo sentenze discordanti: alcune a favore dei commercianti, altre totalmente contrarie».

Fino all’ultima pronuncia della Cassazione. E ora?

«Lo scorso 30 maggio le sezioni unite si sono confrontate per trovare un punto di incontro sull’argomento, anche al fronte delle minacce di chiusura avanzate a inizio mese dal Ministro degli Interni Salvini nei confronti del business della cannabis light. Non c’è dubbio che siano le elezioni politiche del 26 maggio la principale causa per cui la cannabis light sia stata nel mirino degli esponenti di destra, ma anche e fortunatamente difesa da altre forze politiche, che continuano la loro lotta per la sensibilizzazione e legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”».

Cosa dice esattamente la sentenza?

«Attesa con fermento dalla politica, ma soprattutto dagli imprenditori e lavoratori del mondo della cannabis light, la sentenza della Cassazione del 30 maggio non ha fatto altro che ribadire concetti già ampiamente noti, senza fare chiarezza sui punti che finora hanno causato scontri e incertezza. Nel breve testo viene ribadito il riferimento alla legge 242/16, che consente la coltivazione di determinati tipi di cannabis ma che esclude totalmente le varietà non citate, le quali, in parole povere, costituiscono quelle con THC elevato a effetto “drogante”».

Quindi?

«L’unica cosa che resta da fare è attendere le motivazioni della sentenza che possono tardare fino a 90 giorni successivi alla stessa, con la speranza che si possa giungere a conclusioni chiare, nell’interesse della collettività, degli imprenditori, lavoratori e consumatori». 

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