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Burak, studente turco a Rimini: “L’accoglienza è nel vostro dna”

Il suo nome è Burak Darici, ha 24 anni ed è nato in Turchia. Originario di Canakkale, città sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli. Siamo dalle parti dell’antica Troia e qui è rimasto il grande cavallo di legno, anche se non quello di Ulisse: è la struttura utilizzata per girare il film ‘Troy’ con Brad Pitt. Enea (e forse gli Etruschi) se ne venne profugo da quelle terre in Italia affinché potesse nascere Roma. Dopo 3 mila anni, come tanti coetanei Burak è arrivato in Italia in un altro modo: ha preso aereo il 3 settembre del 2015 dopo aver vinto una borsa di studio messa in palio dall’Unibo.

E siccome frequenta l’ultimo anno della magistrale Tourism Economics and Management dell’Alma Mater Studiorum, ora è a Rimini. Nello studio ha ottimi risultati e, di recente, ha iniziato  un tirocinio per una società di consulenza alberghiera di Roma. In realtà si era allontanato dal suo paese già nel 2014 per andare in Olanda, dove ha studiato nella blasonata università di Tilburg  con Erasmus.

In Turchia domenica 16 si è svolto un referendum molto importante. E tanti sono i temi su cui Burak ha qualcosa da dire in questa intervista.

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Burak Darici

Da straniero e da turco, come ti senti accolto dai riminesi?

«I riminesi sono molto accoglienti, forse per DNA. Quando vado al bar i camerieri si fermano a chiacchierare, al supermercato c’è sempre qualcuno che mi rivolge la parola, magari anche per una semplice battuta, e i miei compagni di università italiani cercano sempre di conversare con me, anche se, ogni volta, mi chiedo se capiscano qualcosa del mio italiano. Mi invitano spesso a trascorrere delle giornate con loro, da feste in discoteca a un semplice caffè.
L’unico piccolo appunto che mi permetto di fare ai riminesi è sul loro inglese. Un semplice esempio. Quando sono sceso dal treno, arrivato in stazione non avevo internet e così mi sono ritrovato a chiedere indicazioni per sapere dove si trovasse il mio ostello. Mi sono subito accorto che la gente di una certa età non conosceva la lingua, allora mi sono rivolto a un giovane, ma ancora niente da fare. Anche lui alle mie domande in inglese mi ha liquidato con l’ennesimo ‘Ai dont spich inglis, scusa’. Da lì ho capito quanto per me sarebbe stata dura con la comunicazione». E qui sorride.

Segui le vicende del tuo paese? Le notizie che circolano sui mass media in Italia corrispondono alla visione che hai tu delle vicende turche?

«Mi informo tutti i giorni. Ma questa è una domanda alla quale non saprei rispondere con esattezza, non leggo i giornali italiani, ma le testate online del mio Paese».

Che opinioni ti sei fatto sul risultato del referendum che sancisce un aumento dei poteri al presidente Erdogan?

«Ci sono circa 2,5 milioni di schede sospette. Le votazioni non sono state condotte in trasparenza e l’Europa non ha fiducia sulle manovre effettuate da Erdogan prima del giorno del voto. L’Osce ha da subito avviato un’inchiesta per eseguire dei controlli approfonditi a tal riguardo. Nei mesi antecedenti non c’è stata imparzialità nella comunicazione che promuoveva il Sì, i giornalisti che sostenevano il No rischiavano di perdere il posto e i dipendenti pubblici staccavano i manifesti pro No. Erdogan è molto intelligente, ha un’importante esperienza politica alle spalle, sa come parlare al popolo e come creare le giuste relazioni personali. Inoltre riesce a coinvolgere gli strati sociali più poveri, sa come condizionarli. Lui stesso è nato da una famiglia umile. Dopo che è stato indetto il referendum, non si è focalizzato sul contenuto di questo, ma la sua strategia è stata un’altra. Ha fatto leva sulla sua capacità di persuasione. Lui dice ‘Credetemi, faccio il meglio per voi’ e la gente lo segue. In più, c’è il problema delle opposizioni politiche. Quest’ultime utilizzano il suo stesso linguaggio, ma non hanno la sua stessa forza comunicativa».

Pensi che la Turchia possa giocare un ruolo determinante nello scacchiere internazionale?

«Quest’anno sicuramente no, ci sono troppi problemi interni che devono ancora essere risolti. Inoltre adesso, con la vittoria referendaria di Erdogan, le difficoltà saranno ancora maggiori. Il 50% della popolazione, e forse anche più, non lo approva. La società è divisa e c’è molta rabbia».

E invece, cosa ne pensi relativamente alla questione dei siriani in Turchia?

«Il problema è molto grande, e credo continuerà a esserlo ancora per lungo tempo. Gli immigrati siriani in Turchia sono più di tre milioni, non conoscono la lingua del posto e non hanno lavoro. Probabilmente diventeranno dei criminali per mantenersi. Ma del resto, finché in Siria ci sarà la guerra, per loro non c’è altra alternativa che fuggire. Solo la pace potrà risolvere questa tragica situazione».

Credi che gli italiani abbiano molti pregiudizi verso i turchi?

«No, non penso. Anche perché gli italiani conoscono poco del popolo turco».

Ti senti più orientale o europeo?

«La città in cui sono nato per certi versi è affine al modello educativo europeo. Inoltre provengo da una famiglia abbastanza agiata, i miei genitori sono persone istruite. In passato hanno esercitato entrambi la professione d’insegnanti, mia madre in una scuola elementare, mio padre in un liceo. Diciamo che mi sento mediterraneo, e come mentalità mi posso definire quasi italiano. Sono un musulmano convinto, ma moderato. Rispetto i fedeli di qualsiasi religione, gli atei e seguo soltanto una parte dei precetti islamici. Per esempio, se sono a una cena con amici, non rifiuto mai un bicchiere di vino».

E sorride ancora.

Benedetta Cicognani

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