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Berlino ’36 e non solo: lo sport e il mondo secondo Federico Buffa

Poco prima che iniziasse il suo spettacolo sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 al Teatro Novelli di Rimini, ho avuto l’onore di scambiare due chiacchiere con Federico Buffa.

Piccola premessa: chi scrive non considera Federico Buffa solo il meglio del giornalismo sportivo nostrano. Chi scrive ha una vera e propria venerazione per lui.

Detto questo, passiamo all’incontro. Dopo le classiche presentazioni di rito e il suo ammonimento nel non provare neanche per scherzo a dargli del lei, ho consegnato a Federico un libro in tedesco sulle Olimpiadi di Berlino, acquistato casualmente mesi fa in una bancarella nel riminese. Lo so che vi suonerà strano, ma mai regalo fu più azzeccato: seppure il tedesco resti un limite anche per Buffa, il pensiero e le bellissime fotografie presenti nello scritto, hanno messo le cose su un piano ancora più informale.

Partiamo dallo spettacolo teatrale: perché proprio le Olimpiadi del 1936? Qual è la loro peculiarità?

“Guarda sono davanti ad un libro che mi hai appena regalato e volendo ci si può fare delle domande e dare delle risposte. Apro a caso, senza un motivo: questo è l’Hindenburg e questo è lo stadio di Berlino nella nebbia delle sere delle Olimpiadi. Ti dà subito un’idea di che cosa il coreografo di Hitler pensò. Si tratta di Albert Speer, un architetto fantastico di cui parlo abbastanza nello spettacolo e che pensò a degli effetti incredibili. Questa è la cerimonia della chiusura e cioè quella del grande buio. Se tu guardi una foto cosi con riguardo alle Olimpiadi del 1936, cosa ti viene in mente? Che questo è Rio de Jainero 2016. Cioè questa gente nel ’36, 80 anni fa, ha inventato la spettacolarizzazione dello sport, il doping di stato e l’uso dello sport per altri scopi: tutti elementi che sono di stretta attualità in questo momento. Quindi lo sport secondo me si divide in prima delle Olimpiadi del 1936 e dopo”.

Olympische Spiele 1936 in Berlin - Blick aus dem Luftschiff LZ 129 'Hindenburg' auf das sich fuer die Eroeffnungsveranstaltung fuellende Stadion; im Hintergrund rechts: das Schwimmstadion, weiter links: Sachsenturm und Friesenturm (von links) - 01.08.1936 Es obliegt dem Nutzer zu prüfen, ob Rechte Dritter an den Bildinhalten der beabsichtigten Nutzung des Bildmaterials entgegen stehen.

L’Olympiastadion fotografato dal dirigibile Hindenburg

Nella rappresentazione focalizzi principalmente l’attenzione su due straordinari atleti: l’americano Jesse Owens e il coreano Soon Kee Chung, che però partecipò alle Olimpiadi con il nome giapponese Son Kitei. Ci sarebbe stata un’altra storia che avresti voluto raccontare?

“Si, l’otto di canotaggio americano. Vi consiglio di andare su Youtube e sentire la radiocronaca tedesca di quella gara, gara che i tedeschi dovevano vincere e invece persero a causa di questo gruppo di ragazzi dell’Università di Washington: Washington, la stessa città dove un giudice ha appena dichiarato incostituzionale il “ban” di Trump. Se andate all’interno dell’università, subito vi porteranno a vedere questa meravigliosa medaglia che gli americani hanno vinto e che per loro ha un’importanza storica”.

“E’ un’olimpiade incredibile e spesso mi capita di raccontare che a chi vinceva la medaglia d’oro veniva consegnata una piccola quercia. Siccome gli italiani sono arrivati quarti nel medagliere con tante medaglie d’oro, ci sono altrettante querce che sono state piantate in giro per l’Italia e alle volte mi sono addirittura arrivate delle testimonianze e delle fotografie di nipoti che dicevano “questa è la quercia del nonno”. E’ un’olimpiade che aveva anche altri scopi, in cui i tedeschi volevano lasciare un segno e la quercia che sopravvive agli uomini è uno di questi. La quercia è dovuta poi al fatto che i tedeschi all’epoca viravano indietro verso il loro paganesimo originario e questa era uno dei simboli di Odino, il vertice del Valhalla. E’ un’olimpiade che non ha eguali nella storia sotto tutti i punti di vista ed è per questo che ha enorme fascino”.

Passiamo al calcio: che rapporto hai oggi con il mondo del pallone?

“Dal punto di vista professionale posso solo dirti che in questo momento non ho progetti che riguardano il calcio attuale: quello non lo posso fare e non lo voglio fare. Dal punto di vista personale vedo spesso la Liga (il Real Madrid sempre e il Barcellona quasi), le partite di Champions League quando riesco perché adesso non sono più su Sky e qualcosa di calcio sudamericano. Questo è il tipo calcio che mi piace, un calcio che ancora mi dà delle sensazioni”.

E la Serie A?

“No pochissimo, quasi niente. Faccio proprio fatica. Non ho particolare attrazione per il momento attuale del nostro calcio”.

Una domanda sul Milan però te la devo fare. Sei un grande tifoso e spesso mi è capitato sentirti parlare dei tuoi momenti più felici legati alla maglia rossonera [mi interrompe, sorride e specifica: “uno in particolare: il ritorno da Barcellona dopo il 4 a 0 allo Steaua” ndr], raramente però di quelli più tristi che immagino comunque ci siano stati. Cosi su due piedi, quali sono i primi che ti vengono in mente?

“Beh, le due retrocessioni, che come diceva l’Avv. Prisco “una pagando e l’altra gratis”, sono chiaramente due momenti difficili. Non ero a San Siro il giorno della Cavese, ma ti assicuro che di partitacce in Serie B ne ho viste tante. C’è da dire però che il bello di questa squadra è sempre stata questa sua capacità di emozionare il suo pubblico da un estremo all’altro, più o meno come adesso. Il Milan è una squadra di popolo, lo è tradizionalmente, mentre l’Inter è originariamente la squadra della buona borghesia. Poi naturalmente nel tempo le due cose non sono state più le stesse, ma comunque il Milan resta una squadra con forte supporto popolare”.

Anno 2012, Del Piero lascia la Juventus; anno 2014, lascia l’Australia e il Sydney FC. In entrambe le situazioni mi sono chiesto ripetutamente com’è stato possibile che Alessandro, con casa e famiglia in Beverly Hills, non sia finito a giocare per i Los Angeles Galaxy sapendo anche di un loro forte interesse nei confronti del giocatore…

“Attenzione, in America il sistema funziona in modo molto particolare. Innanzitutto i giocatori vengono presi dalla lega e dati poi alle squadre. Squadre che hanno dei salary cap stretti e con solo un certo numero di giocatori che possono arrivare. Anche se ti chiami Del Piero il tutto non è cosi semplice. I giocatori sono contigentati e passano dalla lega, che li assegna alle squadre. Fu cosi anche per David Beckham. Chiaro, diciamo che i Galaxy hanno fatto la richiesta in questo caso, ma la cosa non è poi dopo scontata anche perché come ti dicevo i posti disponibili sono pochi. Poi se vogliamo c’è pure un problema a monte, un problema più generale, e riguarda il fatto che i contratti europei non possono essere utilizzati dagli americani perchè dal punto di vista fiscale presentano più di un grattacapo”.

Domanda extra, che prende spunto dal tuo amore per i viaggi: oggi che viaggio consiglieresti (assolutamente) di fare ad un ragazzo tra i 20 e i 25 anni?

“Ad un giovane alla ricerca di un’opportunità lavorativa direi Canada, Australia e Nuova Zelanda, cioè i tre paesi del Commonwealth che offrono ai ragazzi più possibilità. Devi fare delle cose per loro, però ti danno questi visti di due anni che ti permettono di provare a fare qualcosa di importante per la propria vita. Per esempio negli ultimi anni sono stato cinque volte in Australia, dove mi hanno particolarmente colpito le ragazze del sud Italia, che reagiscono a questo stato di inerzia attuale del mondo del lavoro per i diplomati e anche parzialmente per i laureati e vanno a cercarsi un qualcosa di diverso. Non è semplice lasciare i propri affetti e le proprie famiglie, ma vanno là e poi quando tornano indietro hanno una lingua e soprattutto hanno un’abitudine a lavorare che magari non avrebbero acquisito qui. Un viaggio invece che consiglierei per una ricerca più spirituale, è il Perù. In Perù c’è tutto: c’è tutto quello che un uomo che sta cercando qualcosa può trovare. Non è soltanto il mondo degli Inca che pure è estremamente affascinante, credo a proposito che Machu Picchu sia il più bel luogo archeologico del mondo insieme a Angkor Wat, ma il Perù è veramente speciale. L’acqua e il sangue si confondono, la loro storia è incredibile ed è un paese proprio posizionato in modo particolare”.

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Macchu Picchu, la città perduta

“Un altro viaggio che suggerirei a tutti quanti è l’Iran. L’Iran è stato forse il paese che mi ha colpito di più in questi anni. In primis perché si viene a contatto con l’unica civiltà ariana del mondo medio orientale e riconosci tanti passaggi della tua cultura pensando invece di non trovarla là. Poi abbiamo tante parole del nostro linguaggio comune che arrivano dalla loro lingua, cioè dal fārsī, è un posto esteticamente bellissimo e ci sono i giovani: la stragrande maggioranza delle persone che incontri sono sotto i trent’anni, parlano tutti molto bene inglese e spesso trovano/fingono un pretesto, per esempio ti fanno vedere un libro tipo “Via col vento”, ti chiedono un qualcosa al riguardo, tu capisci che chiaramente è un pretesto, gli accenni una risposta e poi loro ti invitano a casa a mangiare. Cioè una vita che noi non pensiamo possa esistere. Poi vabbè se devo consigliare col cuore dico Argentina, ma questo è un problema mio”.

Lorenzo Lari di Sportellate.it  

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