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Benaglia a Gnassi: “La società non è gassosa e il Pd non è di sinistra”

Da Giovanni Benaglia riceviamo e pubblichiamo:

Caro direttore,
alla domanda “cosa vuol dire essere di sinistra” la mia risposta sarebbe: “realizzare una società più giusta”. Con questa battuta, vorrei inserirmi nel dibattito che ha aperto Andrea Gnassi con l’intervento di ieri sul suo giornale.

Non condivido l’idea che ci troviamo in una società gassosa (o liquida, che dir si voglia). Tutt’altro, la società moderna è netta e ben definita: da una parte i ricchi che sono pochi. Dall’altra i poveri che, ahimè, sono tanti. Certamente, non esistono più le categorie sociali del Novecento a identificare, quale sinonimo, chi ha molto e chi, invece, ha poco. Ne esistono altre, però, come sono sempre esistite nella storia dell’uomo: una volta era la plebe, poi il cosidetto “popolino” infine la classe operaia. Oggi possono essere i migranti, oppure anche una parte di quello che una volta era il ceto medio, oggi impoverito dal mercato turbo-finanziario.

E’ partendo da questo quadro sociale che si comprende meglio ciò che fu la vera rivoluzione del pensiero socialista. Fece capire, infatti, alle persone che dal padrone non si andava con il capello in mano ma, piuttosto, con la pari dignità. Iniziarono così le lotte che portarono a una progressiva riduzione, perlomeno nel mondo occidentale, delle diseguaglianze sociali fra ricchi e poveri e a una redistribuzione delle ricchezze.

Oggi questo meccanismo si è inceppato. Ha preso il soppravvento la logica della destra, che mira a fomentare il conflitto tra i poveri. Chi ci ruba il pane, è il ragionamento, non è il ricco che trattiene a sé il 90% delle ricchezze. E’ l’immigrato che viene a rubare quel poco di pane che tu hai. La sinistra è afona: raggiunto il Governo dei Paesi, pur di mantenerlo, ha scelto di perseguire politiche conservatrici nella speranza di tranquillizzare tutti. Ha perso la capacità di immaginare un futuro migliore.

Confucio affermava: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”.
La destra è caritatevole, butta gli spiccioli, ti regala il pesce. La sinistra, invece, ti insegna a pescare e ti mette nelle condizioni di avere una canna da pesca. La destra mira a mantenere lo stato attuale delle cose, la sinistra immagina un mondo più giusto.

Pensare, poi, di estendere delle pratiche amministrative, ancorchè siano buone, alla vastità dei problemi del mondo è pura utopia. Il locale che si fa globale non può funzionare per il semplice fatto che quest’ultimo ha un impatto mai come oggi così epocale che travolgerà, in un futuro neanche troppo lontano, qualsiasi comunità. Mi riferisco principalmente a due temi: il progressivo spostamento del centro dell’economia globale e l’affermarsi di un nuovo modello produttivo. La Cina sta progressivamente passando da grande Fabbrica del Mondo a nuova potenza economica mondiale. Un dato su tutti: dieci anni fa le esportazioni pesavano per il 36% del Pil, oggi pesano per meno del 20%. Nello stesso periodo, però, la ricchezza del cinese medio è raddoppiata, il settore dei servizi ha superato quello industriale come contribuzione al Pil e, negli ultimi due anni, fusioni e acquisizioni all’estero hanno conosciuto un’impennata. Ci troveremo, quindi, a breve, un soggetto con un miliardo di abitanti che avrà una capacità di consumo pro-capite simile a quella dell’area occidentale, con il vantaggio di esserne grande almeno il doppio. La destra, di fronte a questo, alza i muri: lascia fuori l’immigrato, mette i dazi doganali, introduce parole quali ordine e sicurezza. La sinistra, invece, deve capire questo cambiamento e indirizzarlo progressivamente: siamo sicuri, ad esempio, che l’immigrato sia un problema e non una risorsa? Siamo convinti che, al di là dell’aspetto puramente morale, sia un problema se in un’area geografica che conosce una progressiva denatalità, arrivino popolazioni povere ma propense alla crescita demografica, e con una grande voglia di riscatto sociale ed economico? L’altro tema globale è il cambiamento del modello produttivo. Studi recenti dimostrano che entro il 2025 i robot svolgeranno un quarto delle mansioni in ogni settore manifatturiero con benefici per la produttività aziendale ma, inevitabilmente, con un calo della manodopera.

Di fronte a questo scenario potremmo adottare la strategia “luddista”, cioè distruggere le macchine, oppure tassarle maggiormente. Oppure immaginare un futuro in cui le macchine faranno parte del processo produttivo ma il sistema scolastico, ad esempio, avrà nel frattempo formato tecnici per la loro gestione. Se ci pensiamo bene, anche quando fu introdotta la locomotiva, probabilmente i guidatori dei carri qualche motivo di lamentela l’avevano: la società, però, formò i macchinisti. E le lotte sociali successive ne migliorarono le condizioni. Stessa cosa per i dattilografi a seguito dell’introduzione del computer. Negli ultimi duecento anni di questi esempi se ne potrebbero fare a migliaia. La sinistra non può essere nemica del cambiamento: deve fare in modo che questo cambiamento migliori la vita di tutti e non solo di qualcuno.

Infine, mi sia consentita una battuta: il Partito Democratico non è una forza di sinistra. Almeno non nell’accezione che qui ho esposto. Negli anni di Governo non c’è un provvedimento che aveva come obiettivo una società più giusta: non certo il Job Act’s né la Buona Scuola e nemmeno l’abolizione dell’Imu. Ordinaria e quotidiana amministrazione. Di fronte, però, all’enormità del presente non bastano. Serve altro.

Giovanni Benaglia

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