A distanza di quasi un quarto di secolo fa, i crimini della “banda della Uno bianca” continuano a far discutere.
A Bologna grande eco ha avuto la notizia della liberazione definitiva di Maurizio Occhipinti, uno dei poliziotti condannati per gli omicidi e le rapine della “banda della Uno bianca”.
Il provvedimento è infatti arrivato poco prima che ieri pomeriggio in città si svolgesse la commemorazione di una delle sanguinarie imprese dalla banda, la rapina compiuta il 13 ottobre 1988 al supermercato Coop di via Massarenti con il bilancio di due feriti. La cerimonia si è svolta presso il cippo che, nel giardino di viale Lenin, ricorda carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu, uccisi a Castel Maggiore sempre dai fratelli Savi e dai loro complici il 20 aprile dello stesso anno.
“Si tratta di pensare, se c’è la volontà istituzionale, di mettere mano ai benefici penitenziari”. Ha detto durante la commemorazione il pm Valter Giovannini, sostituto alla Procura generale della Corte d’appello di Bologna.
Durante la cerimonia la presidente dell’associazione delle vittime, Rosanna Zecchi, aveva fortemente contestato la scarcerazione di Marino Occhipinti: “Lo Stato quest’anno ci ha dato un pessimo segnale, inequivocabile, attraverso il magistrato di sorveglianza che ha autorizzato la scarcerazione di Marino Occhipinti, uno degli assassini della banda. E il segnale è che, malgrado quel che dice la nostra Costituzione, la legge non è uguale per tutti. Basta un percorso di ravvedimento in carcere e non importa se sei un assassino o un ergastolano: prima ci sono i permessi premio, poi la semilibertà e infine la libertà totale. E così una persona che si è macchiata di omicidio in questo Paese se la può cavare in tempo relativamente breve”, senza pensare alle vittime nè ai loro familiari “perché non conta il loro parere, un magistrato di sorveglianza può decidere di scarcerare un delinquente, e non un delinquente qualsiasi, senza neanche interpellare chi è stato danneggiato”.
“Si cambiano le Costituzioni, figuriamoci se non si possono cambiare le leggi ordinarie”, le ha risposto Giovannini, che aveva coordinato le indagini sulla banda. Nell’attuale legislazione, ha affermato Giovannini precisando di parlare a titolo personale, “viene maltrattata la persona offesa, ovvero la vittima. L’ho detto fino alla noia, sicuramente la struttura processuale è molto incentrata sulle giuste garanzie che l’imputato deve avere. Ma una democrazia è tanto più forte quanto più sa tutelare chi non ha voce. E la gran parte delle vittime non ha voce. La persona offesa è molto messa sullo sfondo”
E Giovannini ha concluso: “su certi temi occorrerebbe una voce comune tra chi governa e chi sta all’opposizione. E’ venuto veramente in momento di prendere in seria considerazione questo argomento”.
Nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha intanto confermato le condanne per diffamazione nei confronti dei giornalisti di Rete 4 a danno degli poliziotti del commissariato di Rimini Luciano Baglioni e Pietro Costanza. Nella trasmissione «Top secret: Uno bianca chi sapeva?» di Claudio Brachino e Sandro Provvisionato, dieci anni era stato messo in dubbio che lo smascheramento dei colleghi infedeli e la cattura dei fratelli Savi a Torriana fossero avvenuti secondo la versione ufficiale: “Io non credo che siano stati i due poliziotti riminesi a scoprirli”, disse in trasmissione Provvisionato, “l’impressione è che i Savi siano stati scaricati, che sia arrivata la soffiata… scaricati da chi li aveva presi in affitto. C’è qualcosa che non torna”.
Davanti a queste affermazioni, Baglioni e Costanza si erano sentiti offesi nella loro onorabilità. Gli imputati erano già stati condannati in primo grado; in appello la prescrizione aveva cancellato le pene (otto mesi a Brachino, sei a Provvisonato), ma entrambi erano ricorsi in Cassazione riguardo la sussistenza del reato. La suprema corte ha dato loro torto. Ora, oltre alla provvisionale già versata di 20 mila euro, la Corte civile d’appello dovrà stabilire il risarcimento per le parti offese.