A un anno dall’inzio della gierra in Ucraina l’assessore del Comune di Rimini Kristian Gianfreda tira le somme su quanto fatto dalla città sul fronte dell’accoglienza, ma esprime anche tutte le sue perplessità sull’ulteriore invio di armi.
“È trascorso un anno da quando ci siamo alzati con la notizia di Kiev sotto le bombe – ricorda Gianfreda – e la parola guerra è rientrata prepotentemente nelle nostre case e nella nostra quotidianità. E soprattutto l’abbiamo in qualche modo ‘vista in faccia’ nelle nostre città. Rimini è stato tra i territori che ha accolto più famiglie in fuga, scappate dai bombardamenti, a cominciare da molte madri ucraine arrivate da noi con bimbi al proprio fianco da portare in salvo, in un posto al sicuro. Una situazione impressionante, che ho avuto modo di vedere in diretta e sul campo quando a fine febbraio dello scorso anno, insieme alla Papa Giovanni XXIII sono andato a Leopoli, dove ho purtroppo visto il dolore e la disperazione di queste persone, ammassate al confine con in serbo la speranza di una fuga e allo stesso tempo la sofferenza di vedere la propria Nazione devastata dagli esplosivi e militarizzata”.
E l’assessore alla Protezione sociale del Comune di Rimini prosegue: “Ragazze e famiglie che hanno ricevuto immediata accoglienza presso i centri di accoglienza Cas, Sai e presso non poche famiglie riminesi che hanno dato la loro disponibilità ad accoglierli in casa propria, offrendo loro una camera da letto. Un’ospitalità diffusa, trasversale che è stata particolarmente evidente anche con la nascita del tavolo ‘Mir: Rimini per l’Ucraina’ nato grazie alla collaborazione e all’intenso lavoro di squadra tra la Protezione civile e il terzo settore per la raccolta di alimenti, indumenti e i diversi oggetti utili per queste famiglie, nonché in generale per la messa in rete delle realtà, delle imprese e dei cittadini interessati a dare un proprio contributo. La dimostrazione, ancora una volta, del dinamismo e della vitalità del mondo dell’associazionismo riminese. Particolarmente significato è stato anche l’impegno concretizzatesi nelle scuole, ad esempio con il progetto comunale ‘Rimini città aperta. Nuove sfide per l’accoglienza educativa in emergenza’ che ha visto una folta cerchia di educatori e insegnanti in prima fila per aiutare i piccoli profughi, dall’integrazione in classe all’insegnamento della lingua italiana. Una prassi nata su base volontaria che è stato premiato dalla Società Italiana di Pedagogia Speciale. E poi sempre in tema scuole, le tante attenzioni per far sentire i ragazzi il più possibile a casa: dai libri di testo tradotti in ucraino (acquistati dalla Biblioteca Gambalunga), le mense con menù con piatti tipici della tradizione culinaria del loro Paese, le attività di socializzazione, integrazione e supporto linguistico post scuola, grazie alla disponibilità di molti docenti e volontari. A questo si integrano anche le azioni del Distretto socio sanitario di Rimini Nord, come i voucher per l’accesso ai centri estivi e i contributi alle associazioni che hanno implementato attività estive, anche informali, di socializzazione per bimbi ucraini. Non va dimenticata anche l’iniziativa di centinaia di dipendenti di Palazzo Garampi che hanno deciso di donare volontariamente una parte del loro stipendio mensile alle famiglie ucraine più in difficoltà”.
“Non mi piace fare elenchi, anche perché il risultato, spesso, è quello di riportare una panoramica asettica e arida della situazione, togliendo il lato umano alla solidarietà, alle formule di aiuto. Ma questa volta lo faccio, per rendere bene l’idea dell’altruismo e dello spirito di generosità che contraddistingue Rimini e i suoi cittadini, dai singoli all’associazionismo, passando per le imprese, soprattutto nei momenti più estremi, difficili. E quindi ne approfitto per ringraziare ciascuna persona che, nella maniera a lui o lei più congenita, ha provato dare a una mano, ad essere d’aiuto. Ora la speranza è che la parola ‘pace’ torni ad essere contemplata. Si parla tanto di armamenti da inviare e sempre meno sulle possibili soluzioni allo scenario bellico. Io penso che questo non sia possibile e non faccia che mettere ancora di più in ginocchio il popolo ucraino”, conclude Gianfreda.