Un po’ a sorpresa è l’Abruzzo la regione dove finora è stata più scaricata l’app Immuni. Uno dei territori meno colpiti dal covid (4.715 finora i contagi, 485 le vittime) risulta infatti quella con la percentuale più alta di download: 15,9%. Seguono a breve distanza la Toscana (15,7%) e l’Emilia Romagna (15,5%). Quindi la Sardegna (15,1 %), Lazio e Umbria (entrambe 14,9%) e le Marche (14,7%). Piuttosto distanti regioni pur pesantemente colpite come la Lombardia (13,6%, come la provincia di Trento), Veneto (12,4%), Piemonte (11,7%). In fondo alla graduatoria, sotto il 9% Campania, Calabria e Sicilia, fanalino di coda con il 7,8%. Queste percentuali non si riferiscono al totale della popolazione, ma ovviamente solo ai potenziali utilizzatori, cioè coloro che dispongono dello smartphone e sono maggiori di 14 anni.
A Rimini a fine settembre erano solo poco più di 2 mila ad aver scaricato Immuni. In Italia ora sono oltre 7.3 milioni, secondo i dati ufficiali pubblicati sul sito dell’applicazione e relativi al 7 ottobre. Questo vuol dire che in tre giorni l’hanno scaricata in oltre 300 mila persone, certamente allarmate dal rialzo dei contagi. L’ultima rilevazione, del 4 ottobre, dava infatti i download a 7.036.898. Finora l’applicazione ha inviato 6.270 notifiche mentre 369 utenti positivi hanno caricato i loro codici permettendo di avvisare le persone entrate in contatto con loro. Numeri comunque ancora lontanissimi dalla percentuale del 60% che renderebbe davvero efficace l’applicazione.
Non che in altri Paesi stia andando tutto bene. Finora i migliori risultati sono stati ottenuti in Svizzera dove un’app analoga è stata scaricata 2,3 milioni di volte su una popolazione di 8,5 milioni, ed è utilizzata da circa 1,6 milioni di persone, consentendo di comunicare una media di 56 codici di contagio al giorno. Bene anche l’Islanda, dove si sono affidati alla app più del 40% dei cittadini. Il sistema di tracciamento è stato accolto favorevolmente anche in Germania, con quasi 18 milioni di download su 83 milioni di tedeschi.
Esperienze disastrose invece nel Regno Unito, in Francia come in Norvegia. Inglesi, scozzesi e gallesi a oggi non dispongono di nessuna app, dopo che a giugno si è dovuto abbandonare quella predisposta da Londra a causa della sua totale inefficacia dovuta a problemi di ogni genere; solo in Irlanda del Nord c’è un tracciamento che funziona. In Francia la app StopCovid è stata scaricata solo 2,2 milioni di volte su 67 milioni di abitanti; inoltre il sistema transalpino è incompatibile con quelli del resto d’Europa, che invece comunicano fra loro. La app norvegese, lanciata in giugno, ha poi mostrato immediatamente gravissimi problemi di privacy ed è stata ritirata; gli scandinavi sono ancora in attesa di una nuova versione che però non sarà pronta, pare, prima di Natale.
Eppure, come ha dimostrato l’esperienza della Corea del Sud, già sviluppata in occasione dell’epidemia di Sars, le app di tracciamento sono strumenti preziosi per arginare i contagi. Gi utenti che decidono di scaricare l’applicazione contribuiscono a tutelare se stessi e le persone che incontrano. A chi si è trovato a stretto contatto con un utente risultato positivo al virus del COVID-19, l’app invia una notifica che lo avverte del potenziale rischio di essere stato contagiato. Questo permetterà di rivolgersi tempestivamente al medico per ricevere le indicazioni sui passi da compiere.
Quando le strutture sanitarie e le Asl riscontrano un nuovo caso positivo infatti, dietro consenso del soggetto stesso gli operatori sanitari inseriscono un codice nel sistema. A questo punto il sistema invia la notifica agli utenti con i quali il caso risulato positivo è stato a stretto contatto (almeno 15 minuti) da quando la app è entrata in funzione nel proprio smartphone.
Grazie all’uso della tecnologia Bluetooth Low Energy, questo avviene senza raccogliere dati sull’identità o la posizione dell’utente. Immuni riesce quindi a determinare che un contatto fra due utenti è avvenuto, ma non chi siano effettivamente i due utenti o dove si siano incontrati.
Naturalmente Immuni come tutti gli strumenti simili è stata bersaglio preferito di complottisti, fake news e diffidenze senza alcun fondamento. L’obiazione più diffusa riguarda la privacy. Ma anche non volendo credere alle garanzie offerte dallo Stato italiano, ben pochi poi si preoccupano di tutelare i propri dati personali quando utilizzano i social network, tracciamenti di posizione e visitano siti a dir poco dubbi.
Non è vero che è a pagamento, anche se falsi messaggi chiedono numeri di carta di credito e dati simili. Non è vero che occupa troppa memoria nello smartphone: poco più di 30 Mb, la metà della app tradizionale di Facebook e un decimo di quella di Youtube; quanto qualche brano musicale o una minuscola galleria di foto. Non è vero che Google la installa a nostra insaputa.
E non è nemmeno vero che sia un a cavallo di Troia della Cina per rubare i nostri dati, per il semplice fatto che si tratta di un’applicazione nata in Italia e scaricata attraverso l’americana Google. Eppure questa è la tesi paventata fra gli altri da Matteo Salvini, per spiegare il suo rifiuto di scaricare Immuni: “Io sulla tecnologia e sulla messa a disposizione dei dati degli italiani quando c’è una potenza cinese che ormai ci è in casa, ci è sul telefono, ci è in banca e ci è in ospedale, starei molto attento perché la Cina non è una democrazia occidentale”, ha detto il leader della Lega a La7 il 14 settembre scorso.