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Andrea Orlando a Rimini: “Pd unito e aperto per vincere in Emilia Romagna e in Italia”

Andrea Orlando, ex ministro e ora vice segretario del Pd, è stato a Rimini per un dibattito sulla democrazia e sul ruolo del Partito Democratico con l’assessora Emma Petitti durante il Festival dell’Unità che si è concluso ieri al Parco Ausa. Abbiamo chiesto il suo punto di vista sui temi del momento, dalle prossime regionali al futuro del centrosinistra.

Onorevole Orlando, che aria si respira alla Festa dell’Unità, qui a Rimini?

«Un’atmosfera di determinazione, speranza e allo stesso tempo preoccupazione. Il voto alle primarie e alle europee non va interpretato come un’apertura di credito indistinta o una cambiale in bianco, ma ci pone una domanda di rinnovamento e discontinuità del partito. Sentiamo fiducia, ma anche aspettativa».

Tra le prossime sfide del Partito Democratico, sicuramente ci sono le elezioni della Regione Emilia-Romagna. Sarà premiato il lavoro del presidente Bonaccini o il trend nazionale avrà la meglio anche in un territorio storicamente rosso come il nostro?

«Credo che il buon lavoro della giunta regionale sia sicuramente una piattaforma fondamentale, ma non sarà sufficiente. Bisognerà metterci anche della gran politica. In questa fase storica di crisi e di affermazione del populismo, la gente non vota soltanto sulla base del giudizio che ha di una amministrazione, ma anche sulla base di spinte di carattere più generale, che tuttavia, nella dimensione locale, si temperano un po’. Guardando il risultato delle elezioni europee, il PD avrebbe dovuto perdere praticamente ovunque, cosa che le amministrative hanno invece smentito. Molti elettori che avevano votato il centrodestra, nei propri comuni hanno scelto un sindaco di centrosinistra o comunque non di centrodestra. Dobbiamo quindi stare attenti e interrogarci su come avviene un allargamento della coalizione politica e del blocco sociale che storicamente si è identificato con l’esperienza di governo dell’Emilia-Romagna. È necessario provare a parlare anche con chi ha contestato, ha preso le distanze o è apparso freddo nei confronti del nostro buon governo».

Riziero Santi, Andrea Orlando, Emma Petitti

Una delle partite aperte della Regione è senza dubbio quella dell’Autonomia differenziata, su cui Lega e 5 Stelle non stanno trovando un accordo. La proposta dell’Emilia-Romagna, ovvero quella del PD, forse potrebbe essere il giusto compromesso rispetto a quelle più radicali di Veneto e Lombardia. Che giudizio si è fatto?

«L’Emilia-Romagna ha fatto una proposta che si colloca su un profilo in grado di rappresentare gli interessi della Regione ma anche quelli nazionali, mentre le altre hanno una potenziale capacità di dividere il Paese. Quello che va affermato a livello nazionale è che qualunque proposta, prima di essere realizzata, deve prevedere la definizione di livelli minimi universalmente garantiti in tutto il Paese. Si tratta di un tema sul quale il PD deve fare una battaglia nazionale. Se poi andiamo a vedere su quale può essere il punto di caduta, la soluzione proposta dall’Emilia-Romagna non è lontana. A noi offre un vantaggio perché scopre le carte di un Governo che ha scritto la parola Autonomia nel famoso “contratto”, senza sapere cosa significasse».

Domenica, durante l’Assemblea Nazionale PD, il segretario Zingaretti ha lanciato la Commissione Statuto. A suo avviso è uno strumento utile per il partito?

«E’ la nostra piccola costituente. Abbiamo avvertito l’esigenza di rifondare il PD, che è stato fondato in una fase molto diversa rispetto a quella di oggi, sia dal punto di vista delle regole che del rapporto con la società. Il Partito Democratico è nato in un sistema bipolare, con una legge elettorale maggioritaria e con un quadro di cultura politica lontano da quello attuale. In questi dieci anni è come se fosse passato un secolo. Bisogna riscrivere uno statuto per ricollocare il PD nel mondo di oggi. Il che significa ripensare dalla base la sua democrazia interna e la sua natura competitiva. Il PD ha uno statuto che spinge a regolare i conti e chiudere le discussioni sempre con la competizione, mentre oggi siamo entrati in una fase nella quale, a fronte del pericolo rappresentato dalla destra al Governo, l’accento dev’essere posto sulla cooperazione, sulla ricerca di unità. L’unità non può essere solo evocata, ma dev’essere costruita con un percorso di regole».

Quali possono essere i punti da cui il Partito Democratico deve partire per raggiungerla?

«La prima battaglia dev’essere quella per la giustizia sociale. Il PD è la forza che, più di ogni altra, deve schierarsi in difesa dei settori più deboli della società. Questo è il più grosso servizio che possiamo rendere alla tenuta democratica. Sono proprio le masse popolari e i settori sociali di chi soffre di più ad essere diventati spesso il supporto delle proposte nazionaliste, autoritarie e populiste. È il momento di ricostruire un rapporto di fiducia con questi pezzi di società, essenziale per la tenuta della democrazia».

Dai sondaggi emerge che il PD regge bene nei centri delle città, mentre è più debole nelle zone periferiche, ovvero quei luoghi dove dovrebbe essere il partito di riferimento. Perchè?

«Purtroppo è così. I numeri ci dicono che il PD è forte in quella parte della società scolarizzata, con reddito medio-alto, con una forte propensione all’internazionalizzazione. Lo è molto meno nelle periferie, nelle fasce di reddito più basso, nella aree interne del Paese e nei piccoli centri. Vuol dire che si è rotto qualcosa. Insisto: i temi della giustizia sociale e della riduzione delle distanze sono i punti da cui ripartire. Senza tornare ad essere competitivi in quelle aree d’Italia che si sono progressivamente allontanate da noi, non si è in grado di fermare la destra».

Tra le proposte emerse durante l’Assemblea Nazionale, spicca quella di separare il segretario del partito dal candidato premier. A suo parere può essere una buona idea?

«A mio avviso, dal momento che non c’è più il bipolarismo e il maggioritario, il segretario del partito non ha nessuna garanzia di essere il candidato premier. Il fatto che sia scritto nello statuto o no, è irrilevante. Sarebbe bene superare questa cosa che ha creato delle illusioni da sfatare. Oggi la grande questione verte sulla costruzione di una coalizione ampia, forte, non sulla scelta di un leader».

Lei è stato anche ministro dell’Ambiente oltre che della Giustizia. Qui a Rimini ci sono molti giovani che si impegnano per la sostenibilità e per la lotta contro la plastica in mare. E proprio in questi giorni è stato completato uno dei due belvedere del Piano di Salvaguardia della Balneazione, una delle principali opere idrauliche degli ultimi anni in Italia. Che priorità dà il Pd alle questioni ambientali?

«La questione ambientale è una delle nostre più importanti frontiere. Prima di tutto bisogna salvaguardare l’esistenza del pianeta, partendo dal presupposto che alcuni osservatori internazionali spiegano che abbiamo 10-11 anni per rendere reversibili i cambiamenti climatici, prima che sia troppo tardi. Cosa che ci dice che il problema non riguarda più i posteri, ma direttamente noi. Tutto quello che va nella direzione della sostenibilità deve essere sostenuto e valorizzato dal Partito Democratico. Dobbiamo assumere questo grande tema come un presupposto della nostra azione politica».

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