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Se anche l’Istat diventa vegana, quanto resisterà Rimini?

Una grande vittoria per Germidi Soia, lo scocomerato cuoco naturista inventato da Maurizio Crozza: gli alimentari vegan non stanno più solo nei carrelli delle agiate over 40 sempre in bilico fra noia e paranoia, ma sono finiti nel paniere Istat.

Insomma, tofu, seitan e polpette di quinoa sono ufficialmente entrati fra la roba che compra anche la gente normale. Perfino in quel covo di carnivori inveterati che è Rimini, «kamut» non è più una parolaccia: ce ne vuole a spodestare dalle nostre tavole tagliatelle e grigliate, ma si infoltisce la schiera di chi non ritiene strettamente necessario che due volte al giorno un animale ci rimetta la pelle per togliergli la fame.

E non per motivi religiosi, ideologici o salutisti, ma perché le alternative non fanno poi così schifo, e, a dispetto di quel che si dice, saziano, però non ti lasciano sullo stomaco la mappazza, il che ne fa un’ottima soluzione per la pausa pranzo e un alibi perfetto per abbuffarsi poi impunemente la sera.

Per alcuni alimenti è una specie di favola di Cenerentola. Prendete i legumi, la carne dei poveri, relegati in sacchetti e lattine nell’angolo meno glamour del supermercato: toccati dalla bacchetta della fata Vegana, cannellini e lenticchie si ripresentano a tavola in veste fighettona e speziata come polpette e hamburger, su un leggiadro letto di insalatina. Un po’ di alga kombu o di santoreggia nell’acqua di cottura previene il problema delle emissioni nocive che nella nostra epoca deodorata e schizzinosa aveva messo al bando le leguminose nella buona società.

E che dire dei lupini? Lo snack neorealista che allietava l’infanzia dei nostri genitori è stato riscoperto come risorsa proteica nutrizionalmente superiore alla soia e diventa gustosa (e costosa) materia per scaloppine alternative.

Un caposaldo della cucina vegan-vegetariana, però, resta divisivo: il tofu, alias “formaggio di soia”. Se fosse un partito, a Rimini raccoglierebbe meno consensi della Sudtiroler Volkspartei. C’è qualcosa in quel sapore, in quella consistenza, forse anche in quel nome, che ci perplime.

In realtà basta sbollentarlo un attimo e diventa una specie di Zelig che prende il sapore degli altri ingredienti della ricetta, dolci o salati.

Per riscattarlo agli occhi dei riminesi bisognerebbe inventare una ricetta eretica e trasversale, non so, tipo strozzapreti tofu e salsiccia. Ma c’è qualche chef disposto a scandalizzare sia i carnivori che i vegani?

Lia Celi
http://www.liaceli.com/

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