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Anche a Bellaria gite scolastiche da brivido, non vorremmo arrivare ai braccialetti elettronici

Come l’orologio rotto segna due volte al giorno l’ora esatta, anche il ministro dell’Istruzione Valditara ogni tanto ne dice una giusta: «Le gite d’istruzione sono esperienze formative fondamentali».

Più è ampio il nostro concetto di esperienza formativa, più l’affermazione del ministro è valida. Non so per quanti di noi le gite siano state un momento di elevazione culturale, quasi fossero mini-spedizioni scientifiche o archeologiche: qualcuno che le ha vissute così ci sarà sicuramente.

Io appartenevo alla gran massa di zuzzurelloni che vedeva la gita come una piccola vacanza avventurosa. E il cuore del viaggio, il centro nevralgico, il posto dove immaginavamo sarebbero accadute le cose più interessanti, non era la meta – in genere una città d’arte che avrei scoperto e visitato anni dopo, in altra compagnia – ma l’hotel in cui avremmo pernottato. Già di per sé andare in albergo per la grande maggioranza di noi era un’esperienza insolita e nuova; andarci con gli amici, vivere la notte insieme, condividere i nostri rispettivi e sconosciuti lati privati notturni (che pigiama portavamo? facevamo rumori in bagno? parlavamo nel sonno?) la rendeva ancora più eccitante, non so quanto formativa, ma certo fondamentale. Già sul pullman si architettavano piani strategici per fare irruzione in questa o quella stanza, o rocambolesche operazioni per rubare attimi di intimità con questo o con quella, oppure per rompere le uova nel paniere a chi si era dato un appuntamento segreto.

Non essendo particolarmente scavezzacolla credo di essermi persa le imprese più spericolate o trasgressive avvenute durante le mie gite, ma la mia parte di esperienze formative sul piano personale ed emotivo le ho avute, e le conservo tuttora fra le mie memorie più care. Non mi sento di escludere che qualcuno dei miei compagni di un tempo si sia arrampicato sul tetto dell’hotel per vedere l’alba, o sia saltato da un terrazzo all’altro sotto l’effetto di alcol o stupefacenti; se l’hanno fatto, sono stati abbastanza agili, discreti e fortunati da passare inosservati e uscirne incolumi.

Ma oggi le bravate in gita non si fanno, sembra, per sfidare i professori, per rinsaldare la complicità del gruppo e/o per segnare la differenza con gli sfigati. Sotto forma di video condiviso sui social, quello che una volta ci si limitava a rievocare nostalgicamente nelle rimpatriate di ex compagni diventa subito patrimonio pubblico. E quando a filmare le marachelle non ci pensano gli studenti, lo fanno i passanti, come quello che ha ripreso nottetempo alcuni studenti arrampicati sul tetto dell’hotel che li ospitava a Bellaria. Risultato, la paternale agli sconsiderati l’hanno fatta, per vie ufficiali, il sindaco della cittadina e il presidente regionale di Federalberghi, che hanno parlato, giustamente, di scarso rispetto della vita e di tragedia evitata per miracolo.

Il ministro Valditara ha promesso di stanziare cinquanta milioni per sostenere le gite d’istruzione. Per incentivarle e per fare in modo che gli insegnanti accettino la fatica e la responsabilità di vigilare su minori che di notte si arrampicano sui tetti o peggio, quei denari forse dovrebbero essere spesi in braccialetti elettronici o bodyguard con addestramento da agenti penitenziari, per assicurarsi che i ragazzi passino la notte nelle loro camere.

A meno che il ministro, per eliminare completamente qualunque rischio di esperienze non strettamente formative, non decida di impiegare i cinquanta milioni nell’acquisto di caschi per la realtà virtuale, con i quali i nostri ragazzi potranno visitare Venezia o la basilica di San Pietro senza muoversi dalle aule scolastiche. Se devo essere onesta, oggi, come genitore, ci metterei la firma.

Lia Celi

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