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Al ristorante cinese: “Noi riminesi da tanti anni, ma ora qui è il deserto”

Di solito, il sabato a pranzo c’è il pienone. A volte anche qualche minuto di attesa prima che un tavolo si liberi. Il Sole Cinese è uno dei più vecchi ristoranti cinesi di Rimini ancora in attività.  Quando aprì, in via Luigi Pani nel pieno del centro storico, era una stravaganza in una città che si apriva all’oriente: oggi ce ne sono decine, e rosticcerie. La gran parte di esse gestite da famiglie i cui figli sono ormai grandi, parlano l’italiano con l’accento di Romagna e sono informatici, medici, infermieri, imprenditori. Di questo ristorante abbiamo visto i bimbi diventare grandi. Forse molti di loro han visto la Cina solo con Google Maps.
Seppure non ci sia nessuna possibilità di contagio, il terrore del Coronavirus ha preso tutti quanti. Qui ci lavorano riminesi di origine cinese, famiglie che oramai sono parte della nostra città. Il cibo servito rispetta le severe norme sanitarie europee: non c’è nulla da temere in nessuno dei ristoranti riminesi. Eppure…
Entriamo, riusciamo persino a sentire il rumore che la porta fa girando sul suo perno, ben oliato. Con la rigida educazione cinese i figli della proprietaria son cresciuti tra studio e gli extra al ristorante. Hanno preso poi altre strade, hanno studiato e vengono solo a dare una mano quando c’è il pienone. Ma oggi sembra proprio non essercene bisogno.
“La settimana scorsa già abbiamo avuto metà delle persone solite. Era pesante, ma non immaginavamo cosa sarebbe successo. Questa settimana è il deserto”.
Ci guardiamo intorno: oltre al nostro tavolo ce n’è un altro, con una famiglia giovane, e un terzo con due ragazzine. Per il resto vuoto. La sala è silenziosa, le nostre parole rimbombano.
Ordiniamo: i grandi classici della cucina cinese così come viene proposta in Occidente.
In un attimo arriva tutto in tavola. Chiediamo qualcosa alla cameriera. “Sì, oggi è vuoto. Nessuno. Di solito non troviamo tavoli per tutti, e la sera del sabato abbiamo i tavoli prenotati per due giri per tavolo almeno. Oggi invece come vedete voi siete arrivati e vi siete seduti in una sala deserta. Nessuna prenotazione al momento”.
Terminiamo e andiamo alla cassa, per fare due chiacchiere con la proprietaria, la signora Maria. Ci offre l’immancabile grappa cinese, e il solito caffè da ristorante.
“Guardate. Il telefono di solito non smette di suonare per le prenotazioni: sabato sera, domenica. Nulla. Oggi niente. Eh, va così. Noi è tanti anni che siamo qui: è dura, ma passerà. Vengono i tanti amici, chi ci conosce da tanti anni. Poi basta. Anche tu, mi sembra di conoscerti, è molti anni che vieni, vero?” 
Sì, sono anche stato il caposcout di uno dei suoi figli, Matteo. Glielo dico, annuisce contenta, si ricorda ora, dice i nomi degli altri. Mi racconta cosa fa ora: è informatico in una azienda. Poi torniamo a parlare del ristorante.

Da sinistra: Sofia, Maria, Matteo, Samuele Zerbini

“I primi giorni dall’uscita della notizia dell’epidemia abbiamo subito visto il calo, poi è peggiorato. Ora non si ferma nessuno, solo qualche cliente storico. Noi ne abbiamo viste tante: è già successo che tutto ad un tratto, per una qualche paura, le gente non venisse più. Poi piano piano è tornata: del resto non c’è nessun pericolo. Mi dispiace soprattutto per chi inizia ora a lavorare: per loro è più dura. Noi stringiamo i denti e andiamo avanti.
“So che è una paura irrazionale: le persone leggono le notizie, non sanno cosa pensare, e la prima cosa che fanno è accomunare noi e quello che hanno visto sul giornale o in televisione. Ma noi sappiamo che alla fine fare bene il proprio mestiere è quello che serve: vi aspettiamo come sempre. Siamo riminesi anche noi, e sappiamo come vanno queste cose: siamo qui, e continueremo a fare il nostro lavoro”.
Samuele Zerbini

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