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A Rimini le grandi navi si arenano!

Per quanto riguarda il progetto di ristrutturazione del porto di Rimini di cui si parla in questi giorni, la mia opinione, per quello che vale, è che abbia ragione Manuela Fabbri e che l’idea che il nostro porto possa accogliere le Grandi Navi da crociera, appartiene a quella ineffabile categoria che a Rimini si usa definire come “patacate”. Peccato per i tanti “umarell” che potrebbero passare le loro giornate a guardare i lavori sul porto!

A meno che non si intendesse parlare di una infrastruttura minima di accoglienza a terra per navette provenienti da grandi navi ormeggiate al largo. Se questa fosse stata l’intenzione, era bene specificarlo prima che il Presidente del Club Nautico Santolini si buttasse di peso sull’ipotetico business.

Ciò che preoccupa non è il fatto che possa essere realizzato l’attracco al molo di Rimini delle Grandi Navi, preoccupa di più che qualcuno lo possa ancora pensare e lo proponga oggi, magari puntando al Recovery Plan che dovrebbe contenere una forte impronta ecologica.

Preoccupa poi che ciò avvenga dopo importanti studi dedicati nel corso degli ultimi trent’anni, in particolare dalla Regione Emilia Romagna, in grado di mettere in evidenza la fragilità estrema delle nostre coste sabbiose, i rischi di erosione incombenti, l’ingressione salina nelle falde acquifere, gli effetti traumatici del previsto innalzamento del livello delle acque marine.

Per garantire il fondale necessario a queste navi, occorrerebbe prolungare il molo di levante di almeno 2 km (a Ravenna 2450 mt.), con effetti distruttivi sulle spiagge a nord, da Viserba a Bellaria. E a Ravenna dove i moli li hanno già, il business delle Grandi Navi non decolla, nonostante le basiliche bizantine uniche al mondo.

La Regione ha avuto un ruolo di avanguardia a livello europeo sui temi della difesa costiera, grazie anche agli studi di Idroser e dell’ingegner Mentino Preti.

Alcuni capitoli di questa attività programmatoria:

  1. Nel 1982 viene approvato dal Consiglio Regionale il Piano di difesa della costa, basato sul superamento delle scogliere e sulla tecnologia del “ripascimento protetto”. Vuol dire che, dove possibile, non si faranno scogliere superficiali, ma barriere soffolte per contenere il ripascimento periodico con sabbia da riporto, libertà di circolazione al pelo dell’acqua.
  2. Nel 1983 viene presentato e finanziato dallo Stato e realizzato dalla Regione, nell’ambito del FIO (Fondo Investimenti e Occupazione) il progetto di ripascimento protetto che interessa Misano, Riccione, Cesenatico, Cervia. Venti miliardi di lire dello Stato per il primo progetto di questo tipo in Italia.
  3. Nel 1982 (delibera GR n.1300) blocco delle escavazioni di sabbia e ghiaia nell’alveo dei fiumi. Serve a garantire l’apporto solido in mare il quale a sua volta garantisce il ripascimento naturale delle spiagge.
  4. Delibera Consiglio Regionale n. 72/1983, limitazioni al prelievo di acque da falda per rallentare l’abbassamento del suolo che, fra l’altro, espone le spiagge all’erosione. Azione condotta nell’ambito della Legge Speciale per Ravenna e “sostenuta” da azioni parallele come il Canale Emiliano Romagnolo e la Diga di Ridracoli.
  5. Ricerca di giacimenti di sabbia sottomarini per il ripascimento costante delle spiagge a rischio erosione. La ricerca inizia negli anni ottanta e prosegue e si perfeziona negli anni ’90. 6. Nel 2005 la Regione emana le “Linee guida per la gestione della linea di costa” che consolidano l’elaborazione tecnica e amministrativa dei trent’anni precedenti.
    Alla luce di tutto questo, è legittimo chiedere qualche precisazione e magari qualche rettifica, in particolare dagli amministratori riminesi.

Giuseppe Chicchi (già Assessore Regionale all’Ambiente e Difesa del Suolo)

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