Domani, alle 19.00, nell’ambito della Biennale di Rimini, presso la galleria Primo Piano, performing art e vernissage della mostra La carta della memoria/La memoria della carta .
Un dialogo silenzioso con l’arte soprattutto come centro emozionale dall’artista. Da dentro al corpo, non per dirigere i giochi, ma per vedere attraverso altri punti di vista. Ognuno ha la sua percezione, la sua storia, le sue emozioni da portare dinanzi a un’opera d’arte. Ed è interessante anche confondersi, offrire piani diversi di lettura affinché ognuno possa sentire ciò che più gli parla. Ognuno vedrà in base a ciò che lui è in quel momento. Lavorare sul dettaglio che si perderà da lì a poco: il corpo sezionato, la frammentazione quasi scoordinata di un gesto. Un movimento spezzato, fluido o fissato dentro i margini di uno spazio. Quasi un confine con il resto del mondo. Costruire spazi equivale un po’ a costruire un respiro, un battito, una pulsazione. Così indagare sulla memoria equivale a indagare sul sentimento e sulle contraddizioni.
Di quanta memoria siamo fatti? Dove finisce la mia memoria e dove inizia la tua? Quanta memoria è perduta per sempre e quanta si è solo nascosta?
Il corpo è un diario, non dimentica nulla – senza la dittatura della mente – non credo sia in grado di mentire; mantiene nelle proprie cellule, nella postura, nei gesti avvenimenti, pensieri, sguardi, passioni, desideri. Ogni corpo è memoria, sorgente sempre viva per il presente. Memoria e vuoti, inconscio e tangibile, dedicare e lasciare una possibilità all’immaginazione, al sogno. E anche al mito e all’archetipo. Di memoria in memoria per dare movimento all’immagine, per rendere il tutto un film da osservare dall’esterno, assieme alla musica e alle opere d’arte che hanno un’energia portatrice di un qualcosa, di sconosciuto o conosciuto, che interessa tutta l’umanità. E nell’incontro con queste opere creiamo mondi nuovi per trasferire in essi tutta la memoria che sino ad ora ha composto la nostra identità. E se questo non basta uniamo tutto il caos in un progetto unico, come è nella natura dei ricordi.
Il teatro della memoria
Questa mostra è pericolosa. La combinazione di due talenti potenzialmente esplosivi produce una miscela instabile, da maneggiare con cautela. Se ciascuno dei due artisti, preso da solo, offre allo sguardo del visitatore opere affascinanti e complesse, ricche di sottili rimandi concettuali, come un indovinello ben congegnato (Mario Fallini) o un insieme stratificato di citazioni visuali (Mirco Marchelli), ponendosi però sempre al di sotto della soglia di deflagrazione in virtù di una proposta ispirata al garbo e alle buone maniere, l’accostamento delle opere dei due artisti ne esagera l’urbanità e ne moltiplica la compostezza mediante il rimbalzo da una superficie all’altra come in un gioco di specchi. Viene così il dubbio che si tratti di buone maniere simulate con intento parodistico allo scopo di farci abbassare la guardia e colpire duro, ponendoci di fronte all’ingenuità delle nostre pretese artistiche. La patina di antichità dei disegni di Fallini, che sembrano tratti dalle antologie di emblemi di Cesare Ripa o di Andrea Alciato, si rivela un trucco quando ci si rende conto che i disegni sono fatti non di linee ma di parole, le quali compongono immagini che a loro volta rimandano a concetti da esprimersi in parole per richiamare immagini che non possono essere evocate se non nell’ambito del linguaggio, portando l’attenzione di chi guarda (o legge) in una vertiginosa caduta libera nel precipizio dei rapporti tra descrizione e rappresentazione. La blanda e quasi noncurante successione ritmica dei segni e dei motivi geometrici incisi da Marchelli in strati duttili di cera, con tinte opache e morbide e richiami a Fontana, suggerisce storie che si svolgono in successione nel tempo, come in un libro o in una partitura musicale, con l’effetto di rimarcare l’assenza di ciò che alla pittura manca da sempre, vale a dire il tempo della narrazione. Né Fallini né Marchelli, quindi, ci hanno dato ciò che di solito pensiamo di trovare in un dipinto. Nell’incremento di significato prodotto dall’accostamento delle loro opere, i due artisti ci hanno dato in realtà molto di più, ponendo pericolosamente in discussione sia il nostro modo di guardare un quadro sia i limiti degli strumenti rappresentativi offerti dalla pittura rispetto alle parole e alla musica. Nei loro dipinti c’è un fondo ribollente di anarchia filosofica, che può sedarsi solo depositandosi nella memoria, dove il tempo si congela nel ricordo. Per Fallini (La Carta della memoria) occorre disegnare una mappa complessiva dei rapporti tra parole e immagini, secondo le indicazioni della mnemotecnica rinascimentale, come si trovano esposte nella “Idea del Theatro” di Giulio Camillo e nelle opere magiche di Giordano Bruno: proponendosi di compendiare tutto lo scibile, la mappa tende a racchiudere l’universo nella forma di una sua completa rappresentazione, secondo il principio della coincidenza tra microcosmo e macrocosmo. Per Marchelli (La memoria della carta) ogni questione va ricondotta alla materia usata dall’artista, quella carta (o tela, o cera d’api, quale che sia il materiale di volta in volta impiegato) che imprime sull’immagine dipinta le proprie peculiarità di ordine chimico e fisico, conservando la memoria della primitiva sostanza: operazione minimale, contrassegnata da un understatement ironico e riduzionista. Per quanto contrapposte dall’inversione dei termini nelle rispettive denominazioni, La carta della memoria e La memoria della carta sono azioni di guerra combinate e complementari, che compiono per vie diverse spericolate incursioni nel medesimo territorio filosofico.
Mirco Marchelli, nato nel 1963 a Novi Ligure, ha esposto le proprie opere presso la Galleria Sfeir Semler di Amburgo (1998), nella collettiva ‘Carte Blanche à Helen de Franchis’ presso la Galleria Lucien Durand Le Gallard di Parigi (2000), nella Biennale di Arte Sacra al Museo Stauros a Isola del Gran Sasso (2004), al Monastero di Villafranca Piemonte a Torino (2005), nella collettiva ‘Sentire con gli occhi’ presso la Galleria San Fedele di Milano (2005), nella personale presso la Galleria Miquel Alzueta di Girona e Barcellona (2008), presso l’Accademia Filarmonica di Casale Monferrato (2011), nello Spazio Perlartecontemporanea di Lugano (2012), nella personale ‘Scena muta per nuvole basse’ a Palazzo Fortuny a Venezia (2013), presso la Fondazione Lercaro di Bologna (2014), nel progetto ‘A due voci’ presso le Galleria Marcorossi di Verona e Torino (2014), nell’esposizione ‘Canzoni in levare’ presso il Museo Ettore Guatelli a Colecchio (2015). Collabora con le Gallerie Marcorossi artecontemporanea, Cardelli & Fontana e Miquel Alzueta.
Mario Fallini, nato nel 1947 ad Alessandria, ha realizzato calligrammi de ‘Il Milione’ e ‘Le mille e una Notte’, esposti nel 2004 presso la biblioteca dell’Università di Pisa insieme a ‘La carta della Memoria’ durante un convegno della Scuola Normale Superiore in cui l’artista ha presentato il video ‘Un concettismo’. Nella chiesa della SS. Annunziata di Alessandria, ha riportato su 231 formelle di ceramica il testo integrale dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ha esposto presso lo Studio Fossati di Alessandria (1978, 1979), la Galleria Nuova 13 Vigato di Alessandria (1981), l’Unione culturale Franco Antonicelli di Torino (1982), lo Studio Vigato di Alessandria (1993, 2002), la Galleria Loft Art Tacchella di Alessandria (1999), la Loggia di San Sebastiano a Ovada (2006), Palazzo San Giorgio a Genova (2008), la Galleria Lara e Rino Costa Arte contemporanea a Valenza (2016), Artefiera a Bologna (2017). Si sta decidendo alla realizzazione in dimensioni reali del Teatro della Memoria di Giulio Camillo.