Di Simone Balacchi da Santarcangelo non si sa esattamente quando nacque; si ritiene intorno al 1240. Notizie contrastanti anche sulle sue origini.
Secondo alcuni apparteneva alla nobile famiglia dei Balacchi, che aveva dato a Rimini due vescovi e si era insignorita più o meno abusivamente di Santarcangelo durante il XIV secolo.
Questa tradizione, come ha pubblicato anche il quotidiano Avvenire, afferma che «Simone era figlio di un nobile che voleva avviarlo alla carriera militare. Ma il giovane, vissuto alla fine del XIII secolo, rifiutò le glorie delle armi e delle agiatezze mondane e decise di indossare l’abito di converso nel convento dei Domenicani di Rimini, dove avevano lasciato da poco il loro segno Pietro da Verona e Tommaso d’Aquino».
Ma don Emanuele Giunchi, in base alla sue ricerche pubblicate nel 2002 anche sul sito della parrocchia di San Michele Arcangelo, è giunto a conclusioni diverse: «Molti biografi postumi, poiché il padre si chiamava Rodolfo e proveniva da Santarcangelo, lo ritennero erroneamente figlio dell’omonimo conte Rodolfo Balacchi di Santarcangelo e questa presunta nobiltà gli verrà attribuita, col passare degli anni, anche come forma di devozione e rispetto».
«Ma Simone Balacchi nacque da una povera famiglia, come ci dice il Padre domenicano Seratino Razzi, che fu il primo biografo del Beato. “… il padre Rodolfo fu uomo popolare; della madre il nome non sappiamo … “. Il Razzi è degno di fede, perché ha tratto la vita del Beato Simone dalle memorie dei Confratelli nel Convento di Rimini. A sostegno della tesi che Simone Balacchi è di umile origini vi è pure uno studio recente, anche fotografico, di Monsignor Sergio Matteini, parroco per oltre trent’anni della Collegiata di Santarcangelo».
Il convento dei Domenicani di Rimini, oggi del tutto scomparso, era stato fondato nel 1254 e sorgeva all’incirca nell’isolato fra le vie Gambalunga, Roma, Oberdan e Tonti. La chiesa conventuale era dedicata a San Cataldo e da essa prendeva il nome anche la più piccola delle tre porte della città che davano accesso al Borgo Marina.
Come ovunque, anche qui i predicatori Domenicani avevano organizzato uno studium di altissimo livello (come attestato dalla presenza di S. Tommaso d’Aquino), che per secoli rivaleggiò in prestigio con quello degli Agostiniani. Ancora nel 1720, la sua autorevolezza era tale che il giovane Carlo Goldoni vi fu inviato da Venezia per studiarvi filosofia; purtroppo per i progetti paterni che lo volevano medico, fu proprio qui che il ragazzo, oppresso da noia indicibile, scoprì la passione per il teatro, come racconta nelle sue memorie sotto il capitolo “Fuga da Rimini”.
Secondo Vasari, nel convento domenicano San Tommaso d’Aquino era raffigurato anche in una lunetta dipinta da Giotto. Nei secoli vi si accumularono numerosi capolavori, fra cui la pala del Ghirlandaio che ritrae Pandolfaccio Malatesta e la sua famiglia.
In tutte le antiche vedute di Rimini, spicca in primo piano il saliente del “bastione di San Domenico” che si era dovuto realizzare non per esigenze strategiche, ma per contenere l’enorme chiostro del convento che sopravanzava la linea delle mura.
I Domenicani dovettero abbandonare il loro convento nell’ottobre 1796, quando l’appena proclamata Repubblica Cispadana lo trasformò in caserma. Durò in questo uso fino agli ultimi anni dell’Ottocento, quando venne raso al suolo durante l’intervento urbanistico che stravolse tutta questa settore della città.
Tornando a Simone Balacchi, «Si dedicò da subito ai lavori più umili preferendo tra tutti la cura della terra. Il suo zelo rigoroso nel lavoro e nella preghiera, però, fu mitigato dal suo stesso superiore, intervenuto perché preoccupato per la sua stessa salute. Alla preghiera e alla penitenza, aggiunse un apostolato attivissimo, attraverso la catechesi ai fanciulli e la predicazione, nonché atti di profonda devozione e contrizione cui era mosso da profonda pietà per i peccatori. Gli ultimi anni della sua vita li trascorse infermo su un letto, a Rimini, dove morì il 3 novembre 1319. I suoi resti, nel 1817, furono trasferiti nella collegiata di Sant’Arcangelo».
Il Martirologio Romano aggiunge: «Nonostante il peso della fatica, si alzava tutte le notti per il Mattutino, passando lunghe ore in preghiera. Con lo stesso fervore, ci tramandano le antiche cronache, per vent’anni si flagellò per la conversione degli eretici e dei peccatori. Alla preghiera e alla penitenza, aggiunse un apostolato attivissimo, catechizzando i fanciulli, esortando i peccatori e adoperandosi in mille modi per distruggere il regno del male. Le continue lacrime versate per le anime perdute gl’inaridirono gli occhi, riducendolo alla cecità all’età di cinquant’anni. Papa Pio VII il 14 marzo 1820 ha concesso la Messa e l’Ufficio propri».
Al Beato Simone Balacchi è dedicata una splendida cappella nella Collegiata di Santarcangelo (nell’immagine in apertura).