Il 30 novembre 1268 papa Clemente IV firma a Viterbo una bolla indirizzata a Carlo d’Angiò, in cui gli raccomanda Malatesta da Verucchio e Taddeo da Montefeltro per le ottime cose che avevano fatto a favore della Parte Guelfa.
L’angioino recepisce il messaggio e l’anno dopo nomina il Malatesta suo vicario a Firenze, mentre nel 1270 Taddeo viene inviato a Lucca con lo stesso incarico. In quel momento i due governano il Comune di Rimini alternandosi nella podesteria; Taddeo, conte di Pietrarubbia, è il capo dei Montefeltro guelfi, mentre suo cugino Guido da Monfefeltro è il più prestigioso fra i leader ghibellini.
Sarà uno degli ultimi atti del pontefice, che morirà il 29 novembre. Per la sua successione occorrerà il più lungo conclave della storia, oltre mille giorni, finché i Viterbesi esasperati taglieranno i viveri ai cardinali e addirittura priveranno del tetto la sala in cui non sapevano decidersi.
Intanto, colui che Dante chiamerà “il Mastin Vecchio” governa Firenze fino al 1270 con la carica di podestà. A quell’epoca l’Alighieri ha appena 5 anni, ma la sua Commedia è piena di riferimenti a quel periodo cruciale.
Il 23 agosto 1268, infatti, si è combattuta la battaglia di Tagliacozzo, dove l’ultimo degli Hohenstaufen, il sedicenne Corradino di Svevia, è stato sconfitto e catturato da Carlo, che lo farà decapitare sulla piazza del mercato di Napoli il 29 ottobre, appena il giorno prima della Bolla di Clemente a Carlo.
Due anni prima il figlio naturale di Federico II di Svevia e capo della parte ghibellina, Manfredi d’Altavilla – “biondo era e bello e di gentile aspetto” – era caduto nella battaglia vinta a Benevento sempre da Carlo d’Angiò.
E’ l’inizio della fine per la parte imperiale in Italia, anche se il tramonto dei Ghibellini sarà ancora lungo, sanguinoso e segnato da episodi alterni.
Non si sa molto del governo del Malatesta a Firenze. Probabilmente non dovette affrontare grossi conflitti di parte, se non altro perché fin dal 1267 ben 4 mila Ghibellini erano stati cacciati o costretti all’esilio; si erano rifugiati quasi tutti nella ghibellinissima Forlì e solo alcuni poterono rientrare in patria dopo la fine del governo guelfo, durato 10 anni di fila.
Altri fuorusciti rientreranno nel 1282, dopo il “sanguinoso mucchio” di Forlì: Taddeo, a capo dell’armata guelfa di Romagna, era stato inviato a spazzare via l’ultima roccaforte imperiale. Con lui Giovanni d’Appia (Jean D’Eppe) che portava ben 3.400 uomini fra cui 800 francesi e contingenti della Toscana, delle Marche e dello Stato della Chiesa. Il lungo ed epico assedio fu però spezzato dall’astuzia di Guido, che con una falsa resa ncastrò l’esercito guelfo entro le mura della città per poi massacrarlo. Il cugino Taddeo morì in battaglia. In quella giornata c’era anche il Malatesta, ma era riuscito a salvare la pelle.
Nel 1268 Malatesta da Verucchio è già oltre la cinquantina, un’età avanzata per l’epoca. Nessuno, lui compreso, può allora immaginare di trovarsi solo poco oltre la metà della sua vita centenaria (morirà nel 1312).
In compenso, in molti hanno già ben chiaro che intende insignorirsi di Rimini. Ma dovranno passare ancora quasi trent’anni prima che nel 1295 il “Mastino” possa azzannare la città in maniera decisiva, instaurando la signoria che durerà oltre due secoli.