Quell’anno l’estate era trascorsa senza che nessuno l’avesse vista: la città vuota, e così la spiaggia, solo ogni tanto punteggiata da qualcuno che si tuffava in un mare già imbronciato dai primi temporali. Il vento si calmava verso sera in quel mese silenzioso, inerte, come alle soglie di qualcosa che dovesse accadere.
E fu quando la soldataglia infilò nei cappi la vita di tre ragazzi, scalzi e vestiti del poco che bastava all’agosto e alla morte.
Chi si affacciò nella piazza e vide il capestro a tre forche venne respinto e dovette tornare sui propri passi. La ferocia sarà al culmine quando tre donne non potranno neppure baciare i piedi già gonfi dei figli.
“E il sole” scriverà Guido “portò le croci nelle lacrime azzurre delle madri”.
Un pianto sempre più lontano, spinto sulle colline dai soldati e dal garbino, si perse in quel finale di tutto. La piazza assistette senza fiato al dondolio dei tre partigiani, Rimini respirava nel cuore degli assenti, tutto veniva consumandosi in quella orrenda gratuità del male.
La piazza prenderà il nome dai tre ragazzi tolti alla vita, al loro coraggio, morti con il sole in faccia e gli occhi che bruciavano. Solo un grido, l’evviva alla propria scelta, aveva attraversato il gran vuoto,
da Covignano al porto.
Dietro i monti cominciava a rosseggiare un tramonto che cadeva lentamente perché anche la piazza se ne riempisse.
Sergio Zavoli
Testo donato da Sergio Zavoli all’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea della Provincia di Rimini allegato alla cartella con la serigrafia di Alberto Sughi in occasione del 40° anniversario della sua costituzione (1971-2011) (Capitani, 2011)
Il disegno in apertura è di Alberto Sughi