Ho conosciuto Luciano Guerzoni nell’inverno del 1980. Militavo allora nel Partito di Unità Proletaria, un nome ambizioso per una piccola organizzazione politica proveniente dal gruppo del Manifesto. Forse a causa di questa nostra origine nutrivamo nei confronti del PCI un dissenso profondo per la linea politica, ma un altrettanto profondo rispetto per il ruolo che svolgeva nella democrazia italiana e per quel particolare profilo di partito-società che aveva in Emilia-Romagna. Per questo, avendo deciso di presentarci alle elezioni regionali, andammo in delegazione per informare il PCI della nostra intenzione. Così incontrammo Luciano che in quegli anni era Segretario Regionale del PCI. Mi colpirono la fine intelligenza politica e un’attitudine alla curiosità per il mondo che rappresentavamo, in qualche modo eredi dell’ormai lontano ’68. Ascoltò con rispetto le nostre ragioni e sorrise di fronte alla nostra decisione di “associarci” unilateralmente alla maggioranza, mantenendo un’assoluta autonomia e senza chiedere nulla in cambio.
Va ricordato che alle elezioni il PCI conquistò la maggioranza assoluta (26 consiglieri su 50) con quasi l’80% di partecipazione al voto. Ma in quel risultato si nascondevano l’insidia dell’isolamento e la rottura storica con il PSI che infatti non entrò nel Governo regionale.
Un anno dopo, nella tarda primavera, ci fu una crisi di Giunta: Pierluigi Cervellati, assessore all’Ambiente e alla Difesa del Suolo, si dimise per un dissenso che riguardava la provincia di Ferrara, forte insediamento socialista. Luciano mi invitò a pranzo, come usava allora quando c’erano di mezzo questioni importanti. Capii che l’ossessione di Luciano era l’isolamento politico del PCI e ci fece esplicitamente la proposta di entrare in Giunta Regionale. Seguì un nostro dibattito interno e, in seguito, la esplicitazione di un percorso di convergenza programmatica, favorito anche dalla Segreteria di Enrico Berlinguer a livello nazionale.
Così entrai in Giunta con qualche timidezza ma anche consapevole della responsabilità che assumevo e dei rischi che comportava. Vennero poi opportunità straordinarie perché la programmazione regionale si esprimeva con una forza e una potenza oggi inimmaginabile. C’erano da organizzare funzioni istituzionali “vergini”, in particolare in campo ambientale (rifiuti, inquinamento atmosferico, allevamenti zootecnici, classificazione sismica, governo dei fiumi, difesa costiera). E ci fu la tragedia dell’eutrofizzazione dell’Adriatico che riuscimmo a far diventare un caso nazionale sui detersivi, sulla Montedison di Marghera, sulla depurazione della Valle Padana, ecc. ecc.
Guerzoni capì l’importanza delle politiche ambientali in rapporto alla qualità della vita e ai processi di riconversione industriale. Concordemente tentammo, con risultati incerti, di aprire un canale politico con il mondo dei Verdi che si stava affacciando, in particolare attraverso la Fondazione Cervia Ambiente.
Nell’’87 Luciano fu nominato Presidente della Regione. Ero dal 1985 uno degli eletti del PCI. Nel formare la nuova Giunta, Luciano assecondò l’orientamento che veniva dalla Federazione del PCI di Rimini di trasferirmi al Turismo e Commercio. Fu così che insieme ci trovammo a gestire un’altra crisi dell’Adriatico, quella delle mucillagini del luglio 1989. Crisi ancor più insidiosa della prima perché non conoscevamo con precisione le cause e, tantomeno, i rimedi possibili. Luciano visse questa vicenda con ansia e, direi, con dolore per quel sentimento di impotenza a cui ci relegava un fenomeno che ancora oggi, di fronte alla scienza, non ha completamente svelato cause sostanzialmente naturali.
Rividi Luciano molti anni dopo al Senato durante la mia breve esperienza parlamentare. Trovai una persona stanca e amareggiata che traeva dall’intatta sensibilità per i processi politici e sociali, una latente preoccupazione per il futuro della sinistra. Fu l’ultima volta che lo vidi.