Per trovare un plausibile motivo del mancato documento di regolarità contabile alla delibera del 1 agosto e che ha portato all’annullamento della delibera stessa, occorre incrociare il documento dell’agenzia del demanio del 17 marzo 2017 numero 4137 con la delibera oggetto di annullamento.
Infatti la delibera del 1 agosto prevedeva anche la rideterminazione dei canoni sulla base dei valori Omi (Osservatorio del Mercato Immobiliare). Una tabella allegata, alla delibera annullata specificava, l’ammontare del canone per ogni singola attività o area.
La somma delle 12 aree e fabbricati interessate portava, con la rideterminazione dei nuovi canoni, ad un introito per il Comune di Rimini di circa 318 mila euro.
Proprio la rideterminazione dei canoni potrebbe essere il motivo del mancato visto di regolarità contabile.
Infatti l’art. 3 del documento delle agenzie del Demanio (patti e condizioni) prevede: ”In relazione all’immobile in oggetto del presente provvedimento, per il quale lo Stato percepisce attualmente un entrata di € 573.860,00 a titolo di canoni per effetto delle utilizzazioni di cui art 2, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze le risorse a qualsiasi titolo spettante al Comune di Rimini sono ridotte in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento del presente provvedimento”.
Concretamente l’art. 3 sancisce che il Comune di Rimini pagherà €573.860,00 all’anno allo Stato come compensazione delle minore entrate.
Ora a fronte di una rideterminazione dei canoni da parte del Comune sulla base dei valori Omi vi sarebbe un importo inferiore di circa 250 mila euro rispetto a quanto dovuto allo Stato.
Il dirigente del comune di Rimini al bilancio, non ha dato regolarità contabile proprio perché manca la copertura dei 250 mila euro. Ma sarebbe riduttivo pensare solo ad un problema di copertura finanziaria. Infatti nella delibera annullata, non si menziona il corrispettivo preteso dal Governo per il passaggio delle aree al Comune di Rimini. Distrazione? Oppure si ritiene questo aspetto secondario?
Premesso che sarebbe opportuno e necessario rideterminare i canoni delle pertinenze all’insegna dell’equità rispetto agli altri concessionari turistici. Nella delibera annullata vi poteva essere un pericolo di danno erariale? Oppure disparità di trattamento tra aree/fabbricati di proprietà dello stato passate al Comune e aree/fabbricati rimaste di proprietà dello stato (con quest’ultime che continuerebbero a pagare cifre molto più alte di concessione rispetto a quelle passate al Comune)? Oppure si potrebbe configurare come aiuti di stato alle imprese?
Anche altre domande, comunque poneva la delibera in oggetto. L’affidamento agli attuali concessionari, sia pure per un periodo limitato ad un anno è possibile? Oppure tendendo conto che nel passaggio tra Stato ed Amministrazione comunale la concessione è di fatto decaduta in quanto l’area/fabbricato è diventata patrimonio disponibile e pertanto era necessario procedere con nuovo bando?
Queste domande è possibile che qualche dirigente le abbia poste e non tutte le risposte sia risultate adeguate.
D’altra parte si sta parlando di una materia complessa e scivolosa.
Tra sentenze della corte di giustizia europea, sentenze della Consulta italiana, sentenze dei Tar le concessioni demaniali turistiche sono sempre al centro dell’attenzione per mancanza di una legislazione nazionale che riordini tutto il settore. Forse anche questa vicenda segnala l’urgenza di avere norme chiare altrimenti i processi di innovazione rischiano di rimanere fermi.