Come è noto l’antica abitudine riminese della “vasca”, cioè del passeggio serale dall’Arco al Ponte, d’estate si trasferisce, armi e bagagli, sulla riva del mare. Una consuetudine fatta di passi lenti, di chiacchIere maligne o benevole, di sguardi critici, di ammiccamenti più o meno lascivi che trova un temporaneo scenario nei primi trenta metri di battigia. Ovviamente i riminesi, per la lunga consuetudine turistica, si mescolano volentieri a languide fanciulle nordiche o a corpulenti benestanti russi.
La quiete delle giornate al mare, nelle fresche mattine adriatiche o nei ventosi meriggi sferzati da Scirocco, è interrotta ultimamente da atletici animatori che dotati di altoparlanti su ruote, propinano musica a tutto volume per indurre i viandanti ad una specie di acquagym in venti centimetri d’acqua. Così il mormorio di voci della “vasca” stagionale sul sottofondo della risacca, ogni duecento metri, è sovrastato dal ritmo incalzante di musica “dance” sparata a tutto volume. Chi si è steso a sonnecchiare pigramente sul lettino, impreca nei più diversi idiomi contro il disturbatore di turno. La mamma che ha appena addormentato il bimbo nella carrozzina, augura una morte precoce a esecutori e mandanti. E così via, perché la città è tutta un pullulare di altari dedicate al rock e affini, dai moli pescherecci alle spiagge libere.
Attenzione però, questo scritto non intende sollevare polemiche, non protesta contro il rumore che ha invaso la quiete delle spiagge, né contro gli animatori più o meno di successo (dipende dalle persone che riescono ad indurre alla danza) che si guadagnano qualche soldo agitandosi come posseduti sotto il sole estivo, né con i bagnini che li pagano (temo piuttosto poco). Siamo a Rimini, perdio, la città del divertimento. Se vuoi giorni e notti silenziose, è meglio che vai alle terme!
Al contrario questo scritto intende celebrare l’irriducibile lena con cui giovani virgulti e anziani tendenti all’obesità si dedicano alla “dance”. La scena si presenta in modo ripetitivo: un animatore si piazza sulla battigia con il suo amplificatore, sceglie un brano e, come un automa, detta i movimenti al suo pubblico che sta in acqua, raccolto in cento metri quadri.
Per cogliere il recondito significato di questi piccoli eventi diffusi, occorre portarsi a mare, alle spalle dei “ginnasti”. Si possono così apprezzare i glutei ben torniti della giovane madre alla ricerca della forma perfetta, le carni informi del cinquantenne mangiatore a tempo pieno, i timidi passi di danza dell’intellettuale di sinistra in incognito, l’equilibrio incerto dell’anziano.
La cosa meravigliosa è l’impudicizia dei movimenti sincopati, delle carni flaccide e dei muscoli rilassati che si mescolano a corpi scolpiti di giovani atleti e di fanciulle in fiore.
In questo mescolarsi c’è davvero l’ansiosa spinta verso il nulla che si impossessa di noi durante le vacanze, quella insostenibile leggerezza che ci fa entrare in autostrade intasate, in treni surriscaldati, in alberghi sovraffollati, immersi nell’odore inconfondibile della carne umana.
Vittime volontarie di una società basata sulla diseguaglianza, finalmente troviamo qualcosa che ci avvicina ai nostri simili: l’ansia per cose futili.
C’è qualcosa di democratico in questo: la ricerca di tracce di libertà, per quanto leggere siano, per quanto occasionali, per quanto fini a se stesse, per quanto brevi nella mezzoretta passata sulla battigia. Tracce di libertà, di questo si tratta. Per ora il resto può aspettare.