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Bologna, 2 agosto: “La giustizia è una cosa, la storia un’altra”

Forse invece dovremmo ringraziarle, le istituzioni. Forse il modo migliore per ricordare dopo 37 anni quello che accadde a Bologna il 2 agosto 1980 è mantenere intatta la rabbia per una verità che ancora non c’è, per uno Stato che ha fatto di tutto per nasconderla, per governi che uno dopo l’altro si trovano a dover ripetere le stesse frasi di rito.

“Oggi è il giorno del ricordo, non delle polemiche – dice il ministro bolognese Gian Luca Galletti alla fine della prima parte della commemorazione, prima di andarsene senza partecipare a un corteo dove non sarebbe stato ben accolto -. Bisogna stare uniti per onorare la memoria”.

Pare di capire che secondo il ministro dobbiamo ricordare cosa è avvenuto, ma non dobbiamo chiedere chi e perché lo ha voluto. Dobbiamo ricordire 85 morti e oltre 200 feriti, ma anche avere la delicatezza di non pretendere di sapere la verità per intero. Non oggi, almeno. Ma allora quando?

“Uno dei punti qualificanti della nostra azione di governo sono proprio trasparenza e apertura. In questa direzione va la decisione di oggi che considero un dovere nei confronti dei cittadini e dei familiari delle vittime di episodi che restano una macchia oscura nella nostra memoria comune”.  Così aveva detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi il 22 aprile 2014, nel firmare la direttiva per disporre la declassificazione degli atti relativi ai “fatti di sangue” di Ustica, Peteano, treno Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904. Niente più segreto di Stato.

Oggi i famigliari delle vittime hanno lasciato l’aula di palazzo d’Accursio subito prima che il ministro Galletti prendesse la parola. Perchè? “Il Governo è stato scorretto con noi – spiega Paolo Bolognesi, deputato Pd e presidente dell’associazione vittime della strage di Bologna –. Abbiamo ritenuto che la direttiva di Renzi fosse importante per arrivare alla verità, in modo che le carte venissero desecretate e che tutti potessero leggerle. Ma i nomi non ce li danno. I ministri Orlando e Franceschini, nel 2015, hanno fatto una convenzione con gli archivi per digitalizzare tutte le carte dei processi. Non hanno digitalizzato un foglio. E allora ci siamo arrabbiati, una sana arrabbiatura in difesa della democrazia”.

Sana rabbia. Così salubre che ai famigliari delle vittime viene servita anche la questione dei risarcimenti, che dopo 37 anni sono anch’essi nel limbo delle incertezze. E proprio per questo Bolognesi già il 29 maggio scorso   aveva annunciato: “Abbiamo deciso che quest’anno, il 2 agosto, chiunque venga a Bologna del Governo per noi sarà una persona sgradita”. Motivo:  la legge 206, quella sui risarcimenti alle vittime di terrorismo e stragi, non si riesce ancora ad applicarla del tutto, servono soluzioni giuridico-amministrative. Che dovevano entrare nella manovra correttiva votata in quei giorni e che invece ne sono rimaste fuori.

Meritano attenta lettura anche le parole del procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato: Io pretendo il rispetto delle posizioni che si assumono, perché la critica è una cosa, mentre il voler attribuire ad altri superficialità valutativa francamente non mi sembra una cosa corretta, quando poi l’impegno dell’ufficio c’è stato”. E ancora: “Noi abbiamo fatto le nostre scelte che non sono irrevocabili e definitive. Ognuno deve fare il suo lavoro: la storia è una cosa, la giustizia un’altra. Il rispetto che si deve avere anche nei confronti delle vittime è quello di dare una risposta. E la risposta è che quando non ci sono elementi processualmente spendibili bisogna avere il coraggio di chiudere, perché diversamente opinando si creano false illusioni, alibi, situazioni di incertezza che non sono accettabili. Se ci saranno altri elementi concretamente sviluppabili saremo i primi ad aprire nuovamente il fascicolo”.

Ma a chi si rivolge Amato pretendendo rispetto? Sempre a Bolognesi, che così aveva puntato il dito: “Non si può chiedere l’archiviazione dell’inchiesta sui mandati non guardando nemmeno gli atti che abbiamo portato. Rispetto assoluto per i giudici, ma il diritto di critica anche i famigliari lo possono avere. Salta all’occhio questo vittimismo. Vorrei ricordare che qui le vittime siamo noi, non i magistrati“. Chiede La Repubblica: il procuratore Amato si sente amareggiato da queste parole? “Nessuna amarezza: il magistrato che pensa di fare il proprio lavoro con coscienza accetta da un lato le critiche e non può determinare le proprie conclusioni su quello che pensa essere gradito o sgradito ad uno o ad un altro, sennò faremmo un altro lavoro”. E nemmeno lui partecipa al corteo diretto alla stazione.

Piero Grasso, presidente del Senato ed ex magistrato, dichiara: “L’unica cura possibile a quel dolore è la verità che ancora non siamo stati in grado di ricostruire”. E Paolo Gentiloni“E’ fondamentale coltivare il ricordo di una stagione drammatica per l’Italia, segnata dalla folle violenza terroristica, proseguendo nella ricerca della completa verità”,

E allora coltiviamolo, quel ricordo. Noi che c’eravamo proviamo a raccontare a chi non c’era cosa accadde in quel giorno uguale a oggi. Noi che a Rimini lo sapemmo dal Publiphono, che verso le 11 del mattino invece dei soliti annunci vacanzieri iniziò a ripetere, monotono: “Serve urgentemente sangue, i donatori si rechino…”.

Senza nemmeno ascoltare una spiegazione, tutti avevamo già capito. Nessuno credette alla primissima versione, quella dell’esplosione di una caldaia (in un 2 di agosto torrido come oggi!). Da più di dieci anni – piazza Fontana, Brescia, treni, e il 27 giugno di quell’anno c’era appena stata Ustica – sapevamo che qualcuno ci aveva dichiarato guerra. A noi tutti, anonimi cittadini solo in quanto tali. E quel qualcuno aveva complici, se non mandanti, proprio dentro il nostro Stato. Per riuscire in imprese  gloriose e senza dubbio strategiche, come buttare bombe sulla folla degli innocenti. Come straziare la vita di Flavia Casadei, una ragazza di Rimini che aveva appena 18 anni.

Oggi dunque dovremmo ricordare Flavia senza chiederci perché qualcuno il 2 agosto 1980 lasciò nella sala d’aspetto della stazione di Bologna 23 chilogrammi di esplosivo di fabbricazione militare. Per fare a pezzi chi aveva la colpa di passare da lì alle ore 10:25 e ancora più per dire a tutti gli altri: potevi esserci anche tu. Dobbiamo ricordare senza pretendere di sapere.

“La giustizia è una cosa, la storia un’altra”. Ma la storia senza giustizia, che cos’è?

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bologna

ansa - strage bologna - Il lavoro dei soccorritori subito dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980, in una foto d'archivio. ANSA

(archivio ANSA)

(archivio ANSA)

(archivio ANSA)

2 agosto 1980. Un simbolo della solidariet‡: líautobus 37 utilizzato per il trasportato delle vittime (Archivio Studio FN Ferrari Paolo) Le autoambulanze degli ospedali cittadini sono insufficienti per il trasporto delle vittime e líATC, Azienda Tranviaria Comunale,mette immediatamente a disposizione i suoi autobus, dando cosÏ un grande contributo alle operazioni di soccorso

Le ambulanze non bastano per trasportare le vittime, bisogna usare gli autobus dell’ATC (Archivio Studio FN Ferrari Paolo)

Stefano Cicchetti

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