Alle 14 e 20 del 14 luglio 1920 qualcuno scorge del fumo uscire dagli abbaini del Gran Hotel di Rimini. Passano dieci minuti e si odono grida e richieste di aiuto. Dall’hotel inizia il fuggi fuggi, ma intanto dal resto della città e dalla spiaggia si assiepa una folla di curiosi. Il Grand Hotel di Rimini, inaugurato appena dodici anni prima, sta bruciando.
Quando arrivano i pompieri, la cupola lato mare è già invasa dalle fiamme. Le cupole sono in legno e puramente ornamentali. I mezzi per raggiungere il fuoco così in alto sono pochi, i rinforzi di vigili del fuoco devono arrivare perfino da Bologna. Per giunta anche l’acqua è scarsa, le operazioni vanno a rilento.
Alle 15 anche l’altra cupola è preda dell’incendio. Si decide di utilizzare anche quanti si stanno offrendo volontari. Poi entrano in azione pure i soldati della caserma “Castlefidardo”.
La confusione è totale e non manca qualcuno che cerca di approfittarne, penetrando nelle stanze dei ricchi ospiti per fare man bassa. La Pubblica Sicurezza ne acciuffa diversi ancora con la refurtiva in tasca.
Fra i volontari si distinguono invece Giuffrida e Luigi Platania, quest’ultimo reduce di guerra e fascista della prima ora, che sarà assassinato l’anno successivo.
Fra i soccorritori ci sono comunque diversi feriti. E uno perde la vita: è Anacleto Ricci, che poi sarà decorato di medaglia d’oro al valor civile. Un boy scout di appena 17 anni, travolto dal crollo di una delle due cupole. Ai suoi funerali parteciperà commossa tutta la città, messe da parte una volta tanto le divisioni politiche allora al calor bianco.
Della ricostruzione delle cupole, “uno dei sogni di Fellini” (che però non poteva ricordarle, essendo nato proprio nei primi mesi di quel 1920), si parlò nel 2009, al momento dell’acquisto del Grand Hotel da parte di Antonio Battani, poi deceduto nel 2015.