Carlo Tonini: “Ma nel luglio del 1619, e precisamente nei giorni 16 e 18, una più giusta, cagione di tristezza e di paura si ebbero i padri nostri, essendosi fatte sentire replicate scosse di terremoto, per le quali la campana dell’orologio, che era sulla torre della piazza della Fontana, martellò, come dice il Pedroni, quattro o cinque volte. Onde il popolo tutto prese ad implorare la divina misericordia, e il 19 fu fatta un’assai divota processione alla chiesa di S. Giuliano, ove riposa il corpo di questo santo martire, uno de’ principali protettori della città”.
Un anno davvero infausto: “Nell’ agosto cessò di vivere il giureconsulto Alessandro Gambalunga, lasciando di sè memoria imperitura coll’aver decorata la città, fin dal 1613, del superbo palazzo e della celebre Biblioteca, che portano il suo nome. Poi nel settembre si ebbe vento, pioggia, grandine, in mare e in terra, e dopo tutto quel gran diavolio il terremoto di nuovo: ma, la Dio mercè, senza notevoli danni”.
Così Oreste Delucca ha rievocato questa e altre calamità:
Sono stati numerosi, durante i secoli, i terremoti che hanno colpito Rimini e il suo territorio, in maniera più o meno devastante. Il primo evento funesto descritto con qualche particolare risale al 1308 e ne abbiamo già parlato.
Ma qualche anno prima, esattamente nel 1302 – come racconta lo storico Cesare Clementini – si verifica un terremoto in mare che prosciuga le acque antistanti la città, provocando uno stranissimo anti-tsunami (viene da pensare al Mar Rosso della Bibbia, che si apre per far passare gli ebrei di Mosè, richiudendosi poi tragicamente sugli egiziani): “nacquero terremoti grandissimi nel mare Adriatico, i quali comossero in modo l’arena intorno a questi liti di Rimino che, alzandola una canna a guisa delle sponde de’ fiumi, pareva che il fondo del mare fosse stato arato; per lo che perì una quantità di pesci, con perdita di molte barche e huomini”.
Nel 1353 si scatenano “gran terremoti” in Romagna e nella Toscana. Rimini fortunatamente non subisce danni, mentre sono duramente colpite località come Borgo San Sepolcro, dove si contano tremila morti. Più preoccupante è la serie dei sommovimenti che si registrano nel secolo successivo. L’anno 1468, proprio negli ultimi mesi della vita di Sigismondo Pandolfo Malatesta,
“alli 6 di luglio, alle 15 hore, fu un orribile terremoto che a tutta la città reccò grandissimo spavento”.
Poi ”nell’anno 1472 furono in questi paesi orribilissimi terremoti, con ruina di molti edifizi e con terrore de’ popoli. Apparve similmente una cometa di color di fuoco la cui coda era di raggi lunghissimi e oscuri, volta a ponente e poi a settentrione, la quale ottanta giorni continovò. E, questa sparita, un’altra apparve a levante. Alli 2 di febraio del seguent’anno settantatre si sentirono tuoni terribilissimi e terremoti di non minore spavento dell’antecedente anno”.
All’inizio del Cinquecento si consumano due episodi meritevoli d’essere ricordati e che mostrano ancora una volta la stretta connessione (di cui è convinto il popolo) tra i fenomeni celesti e i movimenti tellurici, il quale popolo peraltro concepisce i terremoti come un castigo divino teso a punire le malefatte dell’umanità, perciò da esorcizzare mediante penitenze e riti riparatori. Innanzitutto, nella primavera del 1507:
“Nel giorno della Pentecoste – è sempre il Clementini a parlarne – di buona mattina fu veduto in aria un circolo come Arco Iride, che diede grande stupore, sendo il cielo sereno. E nel mese di giugno furono tuoni terribilissimi e spaventosi terremoti, non senza timore de’ Riminesi, vedendosi bene spesso cadere in terra gran copia di case e alcune torri. Furono giudicati prodigii che minacciassero gravissimi mali all’Italia, come seguì, permettendolo Iddio accioché il popolo si ravvedesse de’ peccati commessi e si astennesse per l’avvenire di offender la sua divina Maestà”.
E l’angustia dei Riminesi aumenta nel 1511, “alli 26 di maggio, per l’horribilità di triplicati e spaventosi terremoti che gran pezzo continovarono”.
Il secolo si chiude con un episodio del 1584, quando il 10 settembre “la sera sulle due hore, con un gran vento fece un assai notabile terremoto, che durò poco e senza alcun danno”, infierendo invece sulle aree montane romagnole, portando fra l’altro alla totale distruzione di San Piero in Bagno.
Il Seicento risulta viceversa ben più funesto per Rimini; e le cronache del tempo, assai dettagliate, ce ne daranno conto. Nel 1619 i fenomeni tellurici si presentano ancora con intensità modesta.
Martedì 16 luglio, “alle 19 ore e tre quarti in circa diede il terremoto in Rimini due volte, l’una presso l’altra; et a ore 15 e mezzo del medesimo giorno, replicando più gagliardo, si fece sentire in gran spavento di molti. Adì 18 di luglio, alle ore 11 e mezzo replicò il terremoto con grande strepito, in particolare per le chiese. La campana dell’orologio della torre dei Signori, alla Fontana, martellò quattro o cinque volte; com’anche fece nel martedì prossimo passato alle 15 ore, che similmente suonò. Nella notte seguente, vicino alle 4 ore, si sentì forte un’altra volta in Rimini”.
Onde viene fatta una processione propiziatoria a San Giuliano. E il 6 settembre, dopo un diavolerio di pioggia, vento e grandine, fra le ore 15 e 16, nuovamente il terremoto.
I fenomeni sono dunque in crescendo, tant’è vero che nell’anno 1625: “la notte ch’è tra li 5 e 6 di dicembre fu un temporale con un impetuosissimo vento con pioggia, accompagnati da un terremoto così grande che caddero infiniti camini in Rimini et moltissimi pagliari fuori per il contado furono dissipati, e moltissimi alberi e case andarono a male”.
Nel maggio 1664 alla marina di Rimini si produce un grave disastro: prima dell’alba una nube infuocata si manifesta a tramontana, eccitando un turbine che agita il mare e ingenera una furiosa procella. Ne seguono innumerevoli naufragi. Il furore delle onde porta sul lido i cadaveri di quasi 100 naufraghi, mentre si stima che altri 200 siano rimasti sommersi in alto mare. Gli animi sono talmente scossi che danno credito ad un presagio astrologico diffuso in quei giorni, secondo cui era imminente un terremoto disastroso, distruttore di varie città italiane, fra le quali Rimini. La notte della festività di S. Croce, indicata dal presagio come data dell’evento, uomini e donne escono in folla dalla città, si spargono per la campagna e trascorrono all’addiaccio le ore che li separano dall’alba, aspettando e palpitando. Non succede nulla, ma la gente rimane ugualmente scossa, quasi attendendosi un disastro imminente.
Il quale effettivamente arriverà ben presto, il 14 aprile 1672: un terremoto orrendo, di cui ci restano descrizioni minuziose. Le esamineremo la prossima volta.
Oreste Delucca