I pochi concorsi negli enti pubblici vedono la domanda per partecipare di centinaia e centinaia di giovani e meno giovani alla ricerca di un posto di lavoro.
E questo nonostante la bassissima “stima sociale” che gode la categoria per colpa di qualche centinaio di disgraziati che in giro per l’Italia hanno truffato tutti i cittadini italiani non compiendo il proprio dovere lavorativo. Casi ampiamente pubblicizzati da stampa e TV per “sputtanare” l’insieme dei lavoratori pubblici, senza mai fare alcun distinguo e dire che altri milioni di lavoratori il loro compito, in mezzo a mille difficoltà, lo svolgono sicuramente e il più delle volte bene.
Secondo l’INPS nel 2014 il numero dei dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (il primo datore di lavoro l’Italia) sono scesi sotto la soglia di 3 milioni (a 2.953.000 con un calo di circa 90.000 unità sul 2013). Tre anni prima, nel 2011 lo Stato dava ancora lavoro a 3,23 milioni di persone: con il blocco del turn over in questi anni sono state tagliate 300.000 unità.
A far ritornare i dipendenti pubblici sopra la soglia dei 3 milioni bisogna ricorrere ai precari. Nel 2014 infatti i contratti a tempo determinato sono stati circa 270 mila portando il numero degli stipendiati a 3,22 milioni. Alla fine del 2016 i dipendenti pubblici, sempre secondo l’INPS, risultavano essere 3.142.000.
Un ritornello che spesso si sente è che il numero dei dipendenti pubblici italiani sia maggiore di qualsiasi altro paese. Invece in rapporto alla popolazione, la percentuale di dipendenti pubblici italiana (5,18%) è più bassa rispetto ai principali Stati europei; basti pensare alle medie registrate in Francia (8,50%), Regno Unito (7,90%), Spagna (6,40%) e Germania (5,70%).
Ma i nostri impiegati pubblici sono ormai ‘vecchi’ – l’età media è 50 anni -, spesso sfiduciati, ma tutto sommato economici. Secondo il Forum della PA i dipendenti pubblici nel 2016 sono costati sette miliardi in meno dell’anno precedente; 120 miliardi meno che in Francia e 75 miliardi meno che nel Regno Unito.
Un ricambio generazionale quasi inesistente: gli under 35 che nel 2011 erano il 10,3 % sono scesi nel 2016 all’8%, contro il 25% del Regno Unito e il 27% della Francia. Praticamente assenti, invece, gli impiegati con meno di 25 anni. Andando avanti con questa tendenza, dunque, nel 2020 l’età media sarà salita a 53,6 anni, con ben 232 mila persone che avranno tra i 65 e i 67 anni e oltre 603 mila tra i 60 e i 64 anni; circa un terzo dei lavoratori pubblici italiani fra soli tre anni sarà in uscita dal mercato del lavoro.
Dal punto di vista economico si attende ancora la conclusione della trattativa per il rinnovo dei contratti statali che sono bloccati dal 2008. I dipendenti pubblici aspettano infatti da ormai 8 anni l’aumento degli stipendi. Dopo che nel 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il blocco dei contratti statali il governo e i sindacati hanno avviato un tavolo politico che ha portato alla fine del 2016 alla firma di un accordo quadro per un aumento degli stipendi di 85 euro medi lordi mensili. La trattativa deve ora proseguire all’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Ma essendo un rinnovo triennale 2016/2018, le coperture economiche il Governo non le ha ancora trovate e probabilmente bisognerà aspettare la manovra correttiva di fine anno.
Uno studio presentato in queste ore afferma che il valore degli stipendi pubblici è quello di 17 anni fa, ovvero il 2000. Naturalmente valgono tutte le distinzioni possibili e immaginabili fra lo stipendio di un magistrato, di un dirigente da quelle di un semplice dipendente di un Comune. Ma credo possa essere chiaro a tutti che con uno stipendio medio, ad esempio dei dipendenti comunali, di E. 1.200 mensili netti c’è poco da ballare.
La ministra della Pa, Marianna Madia, ha in effetti ripetuto in più occasioni che gli aumenti dovranno guardare prima di tutto alle fasce di reddito più basse. Ma non sarà né semplice né facile farlo veramente. Comunque l’invito delle Organizzazioni Sindacali a fare presto e a chiudere questi contratti ha alle spalle motivazioni economiche e sociali vere.
Infine, cosa dire della Legge Fornero del 6 dicembre 2011, detta “Salva Italia”? Tutto il male possibile naturalmente. La signora Fornero in maniera dettagliata ha costretto milioni di lavoratori italiani ad un calvario legislativo ed economico che non ha eguali nella nostra storia recente. Età pensionabile, tagli alle retribuzioni, vincoli giuridici e tanto altro ancora è stato pensato e studiato per peggiorare la situazione del lavoratore dipendente in Italia.
Il Governo Monti, secondo la vulgata politichese, ha salvato l’Italia dalla bancarotta provocata (ma spesso lo si dimentica) dal Presidente Berlusconi. Ma per salvare l’Italia dovevano pagare solo i lavoratori dipendenti? Questa è la domanda che in tanti ci poniamo. Possibile che non si possa intervenire in alcun modo sugli elementi più deleteri e punitivi della Legge Fornero? Mi rifiuto di accettare il fatto che il tema della modifica di questa legge sia sollevato solo da gente come Salvini o Meloni. Caro Renzi. il PD non ha nulla da dire in proposito? Una cosa di sinistra una volta tanto la vuoi fare?
Infine vorrei richiamare l’attenzione sulla fusione di INPS e INPDAP avvenuta l’1 gennaio 2012. L’INPDAP è stato l’Istituto Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica dal 1994 a fine 2011. Dal gennaio 2012 invece anche la previdenza dei dipendenti e pensionati pubblici è passata in carico all’INPS.
Ma a distanza di oltre sei anni non tutto è ancora stato sistemato. Ad esempio l’anticipo TFR ai dipendenti pubblici è materia ancora dibattuta in quanto malgrado quanto stabilito dall’articolo 4, commi 4 e 5, del D.L. 185/2008, che ha previsto l’estensione ai dipendenti pubblici la possibilità, già riconosciuta ai dipendenti privati di ottenere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto in determinati casi (acquisto prima casa, studio figli, problemi sanitari), non è ancora stato emanato il decreto ministeriale che sancisce le modalità di concessione, erogazione e requisiti.
Interpellato il Segretario della CGIL di Rimini su questo specifico tema, ci è stato risposto che il tema è ben presente e conosciuto dalle organizzazioni sindacali. Ma l’INPS non ha mai accettato di discuterne, nonostante abbia già più volte perso in cause sollevate su questo tema in giro per l’Italia. E’ facile comprendere che è meglio non farlo quel decreto attuativo per trattenere in cassa soldi che non si vogliono far uscire. E’ la stessa vergognosa decisione presa in merito alla liquidazione del TFR: un anno, due anni, tre anni dopo l’andata in pensione. Stiamo parlando di soldi dei lavoratori a cui hanno diritto e per cui hanno pagato nel corso di un’intera vita lavorativa.
Ok la legge elettorale, ma vorremmo che i nostri parlamentari, il Governo ci parlassero anche di questi problemi, problemi veri, che riguardano milioni di persone che non navigano certamente nell’oro. Quando decideranno di farlo veramente?
Tiziano Righini