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Manuela Fabbri: una mia (improbabile) testata la titolerei “Critica libera”

Da Manuela Fabbri riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Gentile redazione di Chiamamicittà.it,
piccola premessa: 1. è il mio mestiere (la comunicazione); 2. sono libera (di opinioni). Dunque forse vi è giunto all’orecchio che nonostante le critiche personali che da sempre ricevo da qualche componente il vostro team… e non mi dà fastidio, anzi, facciamocene tante, sono uno stimolo (altra cosa è l’insopportabile maldicenza)… mi è capitato in più occasioni di battermi per voi. Di affermare con certezza che se c’è chi riesce a sostenere per risorse umane ed economiche un nuovo mezzo di comunicazione di questi tempi, anziché osteggiarlo e pensare di farne un altro per contrapporsi, è bene usarlo chiedendo attenzione con notizie che suffragano per idee e contenuti i distinguo dalla linea editoriale. Specie se si è iscritti e/o fiancheggiatori del Partito Democratico (mi riferisco al Congresso e il confronto/scontro tra mozioni).

E parlo della relazione tra Rimini e Chiamamicittà.it. Senza l’it. è la gloriosa testata di un tempo, fondata nell’88 dll’amico di sempre Giuliano Ghirardelli con Claudio Costantini in redazione, che molte volte in tanti anni di uscite cartacee, ha ospitato racconti autentici dei riminesi sulla propria città, alcuni dei quali mi riguardavano per politica, famiglia, lavoro. Sono un po’ meno interessata alle opinioni, allora e ora perché tra giornali digitali, e-book e facebook i numeri di chi legge sono inferiori a quelli di chi scrive, troppi davvero. Con l’informazione (ma lo è?) che si autoproduce come in un circolo vizioso, creando l’effetto marmellata, un mischione insomma. Titoli gridati, dichiarazioni manipolate e/o volutamente ambigue di tizio e caio che autoalimentano i quotidiani per giorni. Lo scopo: colpire l’attenzione e vendere più banner pubblicitari.

Così si è costretti a scegliere ciò che interessa molto, di più. E se voi m’interessate, ho però una critica professionale che considero vitale. Attenzione ai troppi amarcord compiacenti sull’origine politica del vostro editore di riferimento e autocompiacenti per chi narra. Meno si parla (solamente) agli omologhi e meglio è: se non si è un house organ protetto, si prova a conquistare sempre nuovo pubblico e voi lo sapete bene. Vi penalizza – e me ne sono accorta in più occasioni – non dare voce agli esiti reali, e spesso discutibili, che ora riletti con le dovute distanze si possono ammettere senza difficoltà. Salta agli occhi sulle biografie dei personaggi del passato: tutto sempre “bene madama la marchesa”. Mai nessuna voce di chi si è opposto a certi innegabili limiti culturali, inadatti a produrre politica amministrativa a sguardo lungo. Errori per scelte amministrative sbagliate, all’unanimità acclarate col senno di poi. Non cito i casi per non offendere le persone, ma chi legge e conosce, sa. A margine di ogni pezzo sulla biografia di un sindaco, personalità o amministratore del Pci, Psi, o altro, forse servirebbe una rubrichetta ironica: i peccati che gli/le vengono attribuiti. Della serie nessuno è infallibile, il Pci non c’è più e la fede resta in chiesa.

Apertura, ascolto, accettazione delle altrui opinioni, differenze e spirito critico, oserei dire che servono, in politica di più. E allora completo una vostra narrazione con uno storytelling (come si dice oggi) che mi riguarda. E’ accaduto all’inaugurazione di Radio Sanmarino: lì sotto il Kremlino, sede Pci (ex Torraccia) c’è anche Emanuele Rocco, giornalista di sinistra del momento, Rai3 e Unità. Invitato a tagliare il nastro, tra il resto, egli dice: “Buon lavoro ragazzi ma attenzione. Le radio sono libere, imparate da Radio Radicale”… peraltro ancora poco nota a Rimini dove non c’era la frequenza che successivamente vendette all’allora amministratore Paolo Vigevano, il titolare di Radio Sabbia, Claudio Dondi. Non è un caso che RR abbia formato giornalisti e politici importanti e a Roma già fosse seguita da ogni opinion maker e leader. Con una informazione esclusa dai media istituzionali: la diretta di processi e congressi, dei lavori in Parlamento. E poi “radio parolaccia”, perché senza filtri e certo di farsi ascoltare, il popolo insultava politici e partiti soprattutto. Già volendo si sarebbe intuito cosa ne sarebbe seguito: Tangentopoli, fine dei partiti, Lega e Grillo.
Poco dopo il direttore (e per favore non mi correggete la desinenza) M. Patrizia Lanzetti mi ha voluta, dando scandalo: oltre che titolare di agenzia di comunicazione ero segretario dell’Associazione Radicale Riminese che allora aveva un sacco di iscritti e produceva attività politica continua. I radicali erano una forza a livello nazionale e io una novità spendibile per radio e tv locali che mi davano spazio (da Radio Talpa a Telerimini etc.). A Radio Sanmarino dovevo occuparmi delle interviste senza rete (né censure) ai personaggi riminesi, il sabato mattina: il Sindaco (Massimo Conti), l’onnipresente Umberto Bartolani che da sempre si faceva fotografare accanto ai potenti, il segretario del Pci (Nando Piccari), il patron del nascente Pio Manzù, Filiberto Dasi, ma non tutti accettavano la sfida. Erano gli anni ’80 della creatività e degli eventi, una conquista la loro scoperta, e il divertimento garantito.

Ora è desolazione. Nelle relazioni interpersonali e le conseguenti azioni collettive – rare infatti quelle spontanee e autentiche, quasi tutto è fatto in funzione del web con relativi selfie – che perlopiù si riducono a una chat per whasapp, e qualche riga sentenziosa con subito trenini di mi piace su facebook (a seconda del personaggio che la fornisce). Mi strugge una domanda: rimpiangere la passione e la forza aggregante del passato è segno di vecchiezza o esigenza di cambiamento, umanamente parlando?

Manuela Fabbri

PS: scusate l’ho fatta lunga, ed è pure con una critica su di voi, caro direttore Cicchetti. Non ho proprio senso della misura… ma è un unicum che non si ripeterà.

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