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Campi Nomadi. Gnassi: “Bisogna uscire dai due estremi dell’eccesso di pietismo e della strumentalizzazione”

Riportiamo di seguito l’intervento del Sindaco di Rimini Andrea Gnassi a conclusione delConsiglio Comunale tematico di giovedì 4 maggio, sul tema dei Campi Nomadi. 

“Potrei ripercorrere puntualmente tutte le tappe della situazione che ci ha portato ad avviare oggi questo processo, partendo dal febbraio del 2016, con il sopralluogo dei Carabinieri e Ausl al campo di via Islanda. L’ha già fatto il vicesindaco Lisi nel suo intervento e a lei va il mio particolare ringraziamento per l’impegnativo e gravoso lavoro che sa conducendo su un tema non certo facile da affrontare, per le sue svariate implicazioni.

Oggi ci troviamo nel mezzo di un processo per il quale siamo tenuti ad intervenire, indipendentemente dalla casacca politica che si indossa. Dopo quel sopralluogo di febbraio 2016, il segretario generale ha avviato un gruppo di lavoro tecnico sulla base delle segnalazioni di Asl e Carabinieri, che portasse al superamento di una situazione divenuta insostenibile, come quella che si è registrata al campo di via Islanda.

Siamo accusati di aver nascosto il tema del superamento del campo nomadi in campagna elettorale. Ma nella piattaforma programmatica che abbiamo presentato ai cittadini abbiamo esplicitato chiaramente che era nostro obiettivo occuparci della comunità riminese e delle sue problematiche sociali. E quei 44 sinti di cui oggi stiamo discutendo hanno la carta d’identità italiana, hanno la residenza a Rimini, sono cittadini riminesi a tutti gli effetti. Nella piattaforma programmatica abbiamo dichiarato che per rispondere ai problemi della comunità riminese avremmo anche provato a rompere gli schermi, ad attuare dinamiche e progettualità in grado di proporre soluzioni alternative.

Dovevamo intervenire prima? Sì.

Sono stati commessi degli errori negli anni? Sì.

Ora però siamo nel mezzo di un processo e le polemiche di questi mesi servono probabilmente a consolidare certe posizioni, a scaldare gli animi, ma non aiutano a trovare soluzioni nell’ambito di un percorso dovuto. Oggi noi dobbiamo agire e l’adesione al bando regionale – con quel progetto preliminare – ci ha permesso di avviare questo processo, con la possibilità anche di intercettare delle risorse quando avremo messo a punto il progetto puntuale.

Che il campo di via Islanda sia uno scandalo, siamo tutti d’accordo. Dobbiamo però uscire dal pendolo tra eccesso di pietismo e un eccesso di estremismo, tra il chiudere un occhio e il voler esasperare e strumentalizzare. In sala stasera c’erano anche bambini, bambini che hanno sentito parole pesanti; non è certo il mio scopo fare un discorso di tipo pedagogico, ma non si può dipingere un intero gruppo etnico come un gruppo di delinquenti. Capisco le paure, capisco i pregiudizi, ma dobbiamo usare le parole consapevoli del peso specifico che hanno.

Entrando nel merito delle soluzioni a cui stiamo lavorando per il superamento del campo di via Islanda, credo che il consiglio di questa sera possa servire a fare chiarezza su microaree e macroaree, anche per rispondere ai legittimi timori dei cittadini che temono che una microarea possa trasformarsi in un vero e proprio insediamento. La proposta a cui stiamo lavorando prevede la sottoscrizione di un contratto per soluzioni monofamigliari modulari, che possono andare da prefabbricati a soluzioni mobili, come nelle esperienze che ci arrivano dall’Europa o dagli Stati Uniti. La microarea non diventerà mai macro area, stiamo discutendo di soluzioni monofamigliari.

Ma quando le legittime preoccupazioni vengono fomentate con parole pesanti che scavano nelle paure, si rischiano derive pericolose. Tanto che mi fa riflettere il fatto che si possa mettere in discussione la decisione di intervenire e di utilizzare  risorse per mettere in sicurezza l’impianto elettrico scoperto di un campo dove vivono anche dei bambini. Quei cavi sono forse il frutto dell’irresponsabilità di qualcuno che vive in quel campo, ma a noi spettava la responsabilità e il dovere di agire e rimediare a quella situazione. Dovevamo lasciare i bambini in pericolo?

Certe situazioni vanno messe a norma indipendentemente da chi ne è responsabile. E per la pubblica amministrazione è un principio che vale per tutti, senza distinzioni di nessun tipo. Lo abbiamo fatto con la bonifica dell’ex area Ghigi in sostituzione del privato inadempiente; lo abbiamo fatto per la nuova questura, dove siamo creditori per milioni e dove siamo intervenuti per un tema di incolumità e sicurezza; e in entrambi i casi attiveremo le procedure per il recupero coattivo di ciò che abbiamo speso. Niente di più e niente di meno di quello che stiamo facendo per via Islanda.

L’altro giorno ero in un bar alle Celle. Una persona stava parlando con un conoscente in maniera anche abbastanza animata del tema nomadi, con le generalizzazioni tipiche di chi non conosce a fondo un argomento. Ad un certo punto entra un uomo, che questa persona saluta calorosamente e abbraccia. Quando gli viene fatto notare che l’uomo in questione è un nomade, la risposta è stata: “sì, ma lui lo conosco”. C’è un tema di conoscenza, di formazione, per avere meno paura di chi arriva nel nostro quartiere e avere la capacità di imporre le regole di civile convivenza.

Se ci sono soluzioni alternative nell’ambito del processo che abbiamo avviato per il superamento del campo di via Islanda, che emergano ora con chiarezza. Finora dall’opposizione abbiamo solo sentito proposte contradditorie, che non servono ad ottenere alcun risultato. Abbiamo avviato un processo, in quello che la Regione definisce regime derogatorio, cioè attraverso soluzioni previste specificamente per i sinti italiani. Proprio essendo in regime derogatorio e quindi speciale, queste soluzioni prevedono precisi obblighi nei confronti di chi ne beneficia, obblighi codificati da un contratto. E’ una forma di solidarietà esigente e come tale chi non rispetta le regole ne è tagliato fuori.

E’ quindi il momento di sottoscrivere un patto di civiltà, perché una città che non riesce a trovare una soluzione per 45 persone tra cui bambini, anziani e persone gravemente malate non è in grado di risolvere nessun problema.

Nessuno può scappare dalla responsabilità che ha verso la città e la comunità. Mi rivolgo a tutti i consiglieri; non c’è orticello che tenga. Le soluzioni non hanno le rotelle, al bando la sindrome del “non nel mio giardino”. E’ un approccio che non appartiene alla profondità del progetto che stiamo mettendo in campo, al nostro senso di responsabilità e al mandato che ci hanno dato i cittadini.

Sul tema più generico della tutela della sicurezza sollevato da qualcuno e che è slegato dal dibattito su sinti e via Islanda, approfitto dell’occasione per annunciare che con l’assessore Sadegholvaad stiamo lavorando ad un potenziamento della videosorveglianza in particolare nei quartieri più sensibili, per un progetto diffuso su tutto il territorio. Questo perché la sicurezza non è né di destra né di sinistra.

 

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