Lunedì 24 aprile è uscito nelle sale cinematografiche italiane La Tenerezza, un film diretto e scritto da Gianni Amelio, liberamente tratto dal romanzo La tentazione di essere felici dello scrittore napoletano Lorenzo Marone. Alla produzione del film ha contribuito anche il gruppo riminese Focchi,
Dopo essersi ispirato agli omonimi romanzi di Leonardo Sciascia in Porte Aperte del 1990 (film che ha vinto il David di Donatello ed ha ottenuto la nomination agli Oscar), e del premio Nobel Albert Camus ne Il primo Uomo del 2011, il regista calabrese torna ad attingere alla letteratura finendo per riscrivere – com’è normale in letteratura – una storia nuova, originale, in tutto e per tutto sua.
La prima protagonista della pellicola è sicuramente la città di Napoli (brillantemente fotografata da Luca Bigazzi, direttore della fotografia, tra gli altri, anche di Paolo Sorrentino), vista da una prospettiva per certi versi inedita e sorprendente nella sua ferialità: non le scene d’azione degli agguati della criminalità organizzata, come nella fortunata serie di Gomorra; non Scampia, né le gerarchie che regolano i clan camorristici; neppure l’ameno acquerello da Grand Tour del Golfo con alle spalle il Vesuvio; ma una Napoli borghese di avvocati, traduttori e ingegneri, spiazzante per la sua “normalità”: un aspetto che difficilmente – dal di fuori – viene associato alla città partenopea, come se non ci fossero napoletani appassionati d’arte o letteratura, napoletani che eccellono nelle loro professioni, amano, piangono, e vivono le loro emozioni fino in fondo, senza esserne ingenuamente inconsapevoli.
Lorenzo (Renato Carpentieri) è un ex avvocato, o meglio l’ex “re dei parafanghi” come scherzosamente ama chiamarsi, che vive solo in uno storico palazzo di Napoli. La mancanza dell’ascensore non l’ha scoraggiato, nonostante le numerose scale e il suo recente infarto, a perseverare nella sua solitaria vecchiaia. Nel corso della sua vita, infatti, Lorenzo ha creato poco a poco il vuoto intorno a sé: si è separato dalla moglie pochi mesi prima che lei morisse e poi si è allontanato dai suoi due figli, di cui Elena (Giovanna Mazzogiorno) non si è ancora rassegnata a perderlo per sempre, mentre invece suo fratello ha iniziato a ricambiarlo con la stessa indifferenza che il padre gli riserva.
Lorenzo respinge imperterrito ogni tentativo di riconciliazione da parte di Elena, sempre più convinto che solo la solitudine possa garantirgli un certo quieto vivere. Un evento, però, destabilizza questo equilibrio che sembrava ormai fatale: l’arrivo di nuovi vicini: una giovane coppia (Elio Germano e Micaela Ramazzotti) con i suoi due bambini, che darà all’anziano avvocato un nuovo slancio affettivo: senza accorgersene, infatti, Lorenzo inizierà ad affezionarsi a questa famiglia, riscoprendosi capace di prendersi cura di qualcuno, di ricevere e donare Tenerezza.
Un tragico evento (che non vi sveliamo), però, interromperà il percorso di formazione che Lorenzo aveva intrapreso, senza avere ancora conseguito una nuova dimensione interpersonale.
Gianni Amelio tesse un elegante “thriller” in cui la crescente tensione psicologica porta il fruitore ad avere sempre più desiderio di una tenerezza che non c’è. Non c’è per la paura che venga scambiata per debolezza; non c’è perché, in fin dei conti, per vivere la tenerezza occorre avere qualcuno accanto – è questa, forse, la grande ed unica conclusione.
Una timida luce offre però un’ultima speranza: la mano di Lorenzo che afferra di colpo quella di sua figlia Elena. Una scena finale che ricorda molto da vicino – come ha affermato lo stesso Amelio – quella di Ladri di biciclette, in cui il piccolo Bruno stringe la mano al padre Antonio, umiliato davanti a tutti dopo essere stato colto a rubare una bicicletta.
In De Sica il pianto del Figlio riesce a salvare il Padre dal carcere; in Amelio, invece, l’amore incondizionato della Figlia (perché come afferma la stessa Elena, “un padre è sempre un padre”) riesce a salvare Lorenzo da una solitudine in cui non c’è posto per La Tenerezza.
Edoardo Bassetti