È comprensibile che Gloria Lisi stia progressivamente cambiando pelle (e anche un po’ l’anima) a forza di autocommiserarsi ricordando la decennale tragedia vissuta da vicesindaca, quand’era martoriata dai soprusi di una sinistra padrona e dalle angherie del PD sopraffattore. Ma che potesse arrivare a inventarsi il ruolo di neo-sponsor dell’imbecillità no-vax, questo francamente se lo aspettavano in pochi.
A Rimini siede e si trastulla in Consiglio Comunale lo spassoso zimbello eletto a rappresentare una masnada di buzzurri che preferiscono ricevere il covid, potendolo poi trasmettere agli altri, piuttosto che ricevere il vaccino.
All’interno di questo gregge pascola incredibilmente perfino qualche medico, che ha evidentemente scambiato il Giuramento di Ippocrate con il Giuramento da Ipocrita.
Nella riunione dei capigruppo, preparatoria della seduta consiliare dedicata alle urgenze che anche nella nostra provincia incombono sulla sanità pubblica, il consigliere negazionista ha avanzato la grottesca pretesa che, insieme all’Assessore Regionale, al Direttore Generale dell’Ausl, al Presidente dell’Ordine dei Medici e ai rappresentanti sindacali, venisse chiamato a parlare pure uno di quei medici no-vax che, non potendo venire cacciati a calcinculo, sono stati solo sospesi dal servizio, a salvaguardia dei cittadini normali e perbene.
Che alla cervellotica richiesta di quel consigliere residuale si sia accodata la destra melon-salviniana non può stupire, dal momento che Salvini, per tutto il tempo dell’emergenza, non ha fatto che vestire e far finta di svestire i panni del no-vax. Mentre la Fratella d’Italia, appena un attimo dopo la conclusione degli scrutini, non l’ha mandata a dire: «Non ci dovrà più essere alcun obbligo di vaccinazione contro il Covid-19, nessuna reintroduzione del green pass. Bisognerà garantire piena libertà di scelta, non piegheremo più le nostre libertà fondamentali a questi apprendisti stregoni».
Esilarante è al contrario il ruolo di solerte crocerossina che si è data nell’occasione Gloria Lisi. Non tanto per la scelta politica in sé, poiché a ben pensarci c’era più gente di destra – padron Bonfiglio in primis – nelle liste elettorali a sostegno della sua candidatura a sindaca che in quelle di Lega, FI e Fd’I messe assieme. Ma per la patetica e malriuscita sceneggiata con cui ha tentato di giustificare il suo reclutamento fra i no-vax.
Se avesse detto: “Io sono vaccinata, ho vaccinato i miei figli e ho convinto molte persone a farlo, per cui sarebbe naturale che avessi votato contro quell’assurda richiesta no-vax. Pensavo però di astenermi, perché detesto i miei ex carissimi amici Jamil e Chiara e dunque non avrei potuto dar ragione a chi sta con loro. Ma quando mi sono accorta dell’assenza alla riunione di uno dei capogruppo di maggioranza e qualcuno del centrodestra mi ha spiegato che il mio voto sarebbe stato determinante per far prevalere o far perdere il PD, non ci ho pensato due volte”.
Invece ha concesso alla stampa un mellifluo cinguettio sul diritto di parola che dev’essere garantito a chiunque, indipendentemente dalle opinioni che professa. Certo, il bello della democrazia è di offrire a tutti la possibilità di dire la loro, anche ai coglioni che irridono le vittime del genocidio nazista con la carnevalata di travestirsi da internati nei campi di sterminio. Ma questo cosa c’entra con la “sindrome taffazziana” di chi vorrebbe che un attentatore alla salute pubblica avesse diritto di tribuna nel contesto di un’impegnativa riflessione su come rilanciare la sanità?
Però la partita non è ancora chiusa, poiché, regolamento alla mano, il centrodestra di Renzi, Lisi e De Sio tenterà nuovamente di far parlare un medico no-vax in Consiglio Comunale. Non dubito certo che la forza e il senso di responsabilità della maggioranza, uniti alla saggezza della Presidente del Consiglio, butteranno nel cestino la richiesta.
Anche se forse mi piacerebbe di più che la buffonata fosse consentita e che la sera del suo svolgimento i Consiglieri dell’opposizione fossero lasciati completamente soli in Consiglio.
Perché se succedesse altrimenti, si ripeterebbe a parti invertite un’altra comica pagliacciata già conosciuta nella nostra realtà. Quella del 1995, quando parve una gran trovata che ad ospitare il congresso del CORA (Coordinamento Radicale Antiproibizionista) fosse San Patrignano, il covo del proibizionismo per eccellenza. Ricordo che nella mia rubrica sul “Corriere di Rimini” dedicai all’evento un corsivo che, sull’esempio di quel ridicolo “pappa e ciccia” fra Marco Pannella e Vincenzo Muccioli, si concludeva con alcune paradossali domande: «A quando il congresso della LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) nella sala riunioni della Federcaccia? A quando un simposio di animalisti vegetariani presso la sede dell’Unione Macellai? A quando un seminario ambientalista introdotto da un petroliere? A quando la celebrazione del 25 Aprile presieduta da un ex repubblichino di Salò?»
Ecco, quest’ultima domanda oggi la tralascerei. Non vorrei che la Meloni la prendesse come un suggerimento.
Nando Piccari