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Ruderi, baracche, bambini: così nel 1946 a Rimini nacque il Ceis

Sabato 25 marzo, alle ore 17,00, presso il Museo di Rimini verrà presentato il volume “Ruderi Baracche Bambini. CEIS: riflessioni a più voci su un’architettura speciale” a cura di Andrea Ugolini (Altralinea, 2017), edito a cura della Fondazione Margherita Zoebeli di Rimini.
L’iniziativa, che conta il patrocinio dell’Ordine degli Ingegneri, dell’Ordine degli Architetti, dell’Università di Bologna e del Comune di Rimini, vedrà intervenire i numerosi autori dei saggi del volume. Ma la vera “chicca” del pomeriggio sarà la proiezione delle immagini girate dall’architetto Felix Schwarz nel 1946 durante la costruzione del CEIS.
Nella mattina di sabato, dalle 10,00 alle 12,00, per tutti gli interessati sarà possibile visitare il “Villaggio” CEIS e le sue strutture.
Ringraziamo il curatore Andrea Ugolini che ha messo a disposizione di Chiamamicitta.it la parte iniziale del suo ampio saggio introduttivo. Per consentirci di capire meglio di cosa il volume parla e di cosa si parlerà nella presentazione di sabato pomeriggio.

invito ceis

RUDERI BARACCHE BAMBINI
di Andrea Ugolini

… riprendendo il cammino. Nel 2012 usciva, per i tipi dell’editore Marsilio di Venezia,Lo spazio che educa. Il centro Italo Svizzero di Rimini. Si trattava di un libro decisamente singolare perché era la prima volta che il tema dello spazio architettonico del Centro Educativo Italo Svizzero (CEIS), spesso menzionato negli studi pedagogici per la sua esemplarità, costituiva il nucleo di una ricerca disciplinare specifica,interessata, come diceva il titolo stesso, a far emergere l’importanza dello «spazio come elemento centrale per mettere in pratica i principi pedagogici di una educazione alla democrazia ed all’autogoverno».

Il villaggio progettato dal giovanissimo Felix Schwarz, amico e collaboratore di Aldo van Eyck, e da Margherita Zoebeli, che lo guiderà sino alla sua scomparsa, nasceva sulle macerie di una Rimini distrutta dai bombardamenti, prima come centro di primo aiuto alla popolazione nell’ambito del Dono svizzero per le vittime di guerra, poi come luogo di assistenza ed educazione per l’infanzia.

Questo libro raccoglie una serie di saggi che rielaborano ed ampliano gli interventi presentati durante la giornata di studio organizzata dalla Fondazione Margherita Zoebeli e dal Centro Italo Svizzero per i settant’anni di fondazione del Villaggio, dal titolo “CEIS I CARE. Ruderi, baracche e bambini. Riflessioni a più voci su una architettura speciale”, ma, al tempo stesso, questo costituisce l’occasione per pubblicare parte degli esiti della tesi di Chiara Mei, Manuela Mignani e Selina Morri dal titolo “La sostenibile consuetudine della cura. Studi e proposte per protocolli conservativi del Centro Educativo Italo Svizzero C.E.I.S.”, discussa presso la Scuola di Ingegneria ed Architettura dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna nel 2013.

Il volume intende porsi su quel sentiero già tracciato da coloro che per primi si sono occupati del villaggio come incredibile (ed è triste dirlo), purtroppo poco conosciuta realtà architettonica italiana di matrice ed ispirazione, però europea; realtà, che a buon diritto appartiene a quella storia dell’architettura che è anzitutto e prevalentemente storia delle concezioni spaziali. E’ intenzione infatti, almeno di chi scrive queste prime note, raccontare ciò che oggi è questo luogo, o forse è sempre stato nell’immaginazione di chi, a Zurigo, lo aveva pensato prima ancora di realizzarlo. Un luogo dove si sono anticipati, come scrive Monica Maioli, i principi della Nouvelle École, a cui hanno guardato con interesse gruppi di docenti di tante Università italiane negli anni Sessanta come modello di organizzazione di uno spazio che educa; dove Giancarlo De Carlo, negli anni in cui si stava consolidando l’esperienza del Team 10, costruirà un edificio “La Betulla”, proponendo a Margherita un nuovo CEIS, che però non verrà mai realizzato.

Quella parte di città che quindi oggi vediamo immersa nel verde, a ridosso di antichi ruderi di epoca romana e medievale, dove coesistono nuove architetture d’autore accanto a semplici manufatti di legno disposti in modo da ricordare un weiler, dice Schwarz, un borgo, ci appare quindi non solo come “spazio”, come spazio che educa, ma diventa luogo ed in quanto tale non riproducibile, come può dirsi invece di uno spazio.Per tutte quelle discipline, infatti, che fanno dei luoghi uno degli argomenti specifici della loro trattazione, come l’architettura e le geografia ma anche la filosofia politica, l’antropologia e l’etica,i luoghi si configurano da sempre come “realtà identitarie, relazionali e storiche”. Aggettivi tutti decisamente appropriati per descrivere cosa sia oggi il CEIS, “luogo antropologico”, quindi,dove appaiono chiaramente ben saldi i legami sociali con la storia collettiva di una città. Alla luce di questo sarà forse più chiaro guardare al Villaggio non più solo come spazio (riproducibile!?) ma come “luogo”, che è appunto“spazio + identità”, indissolubilmente legato con la Storia su cui e di cui è entrato a far parte.

Queste brevi note di apertura intendono soffermarsi proprio su questo valore di identità che forse sfugge ai più, su questo armonioso quanto incredibile connubio venutosi a creare fra ciò che resta dell’antico ed una serie di poveri manufatti (e che forse tali non sono), su una struttura vegetale voluta sin da subito all’interno del villaggio da Margherita e Felix ed ora quanto mai rigogliosa e ricca, anche in termini di biodiversità, in cui oggi gioca chi qui viene a scuola.
Insomma parleremo di ruderi, baracche e bambini!

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