“Per capire quanto le discoteche e i locali da ballo stanno soffrendo, per capire che sono davvero a un passo dal baratro, abbiamo fatto i conti in tasca alle imprese. Tutte – spiega il presidente del SILB dell’Emilia Romagna, Gianni Indino – vengono da due anni di chiusure forzate e da riaperture a intermittenza e con tante limitazioni. Tutte hanno perso i periodi migliori di lavoro come le feste natalizie e di Capodanno e tutte non riescono a programmare il futuro perché davanti hanno solamente incertezza sulla possibilità di riprendere l’attività. Ad Ibiza, invece, locali come Amnesia, Pacha, Ushuaia e DC10, hanno già annunciato le date di inaugurazione per la primavera. Noi lo faremo quando tutti hanno già prenotate le vacanze? Ai nostri imprenditori rimangono solo le spese da affrontare. A loro abbiamo chiesto i costi reali di gestione per fare comprendere meglio come, anche in questa occasione, le misure pensate dal governo (dai 30 milioni stanziati nell’ultimo decreto per i sostegni a fondo perduto, fino allo slittamento di qualche mese di alcune scadenze fiscali) siano insufficienti per la nostra sopravvivenza. Se fino a questo momento i locali hanno resistito, è solo perché hanno investito ulteriori fondi propri per rimanere in piedi e anche per garantire ai propri dipendenti la possibilità di futuro”.
I COSTI
Il gestore di una discoteca deve affrontare una spesa mensile per l’affitto di circa 15.000 euro, a cui si aggiungono numerosi altri costi, a cominciare da quelli dell’energia. Se fino a qualche mese fa una bolletta dell’energia elettrica pesava per circa 2.000 euro al mese, ora questo costo è schizzato alle stelle. Un esempio su tutti: un noto locale nel luglio di quest’anno, stando aperto tutte le sere, aveva pagato l’energia elettrica 4.122 euro mentre a dicembre, rimanendo aperto un terzo dei giorni, ne ha pagata una da 5.244 euro (il costo è infatti passato da 0,21 euro a chilowattora a 0,93). Andiamo avanti. Per un locale annuale, la bolletta del gas fino all’anno scorso pesava circa 1.300 euro al mese e ora tremano i polsi pensando ai rincari attuali. La telefonia è una voce di spesa da circa 600 euro al mese, quella dell’acqua di circa 200 euro. I costi per i dipendenti e i collaboratori circa 5.000 euro al mese. Poi ci sono tutti i costi annuali, da quello delle assicurazioni a quello per la contabilità di impresa: al mese entrambe queste voci pesano circa 1.000 euro ciascuna. Veniamo al capitolo imposte, sempre diviso per mensilità: la Tari costa 1.500 euro al mese, l’Imu 1.300, l’imposta sulle insegne altri 350 euro, i contributi circa 1.500 euro al mese. A tutte queste spese fisse fanno aggiunti i costi bancari, quella per le manutenzioni ordinarie, dalle caldaie agli estintori giusto per fare due esempi pratici, fino a quelle per le sanificazioni e il riavvio dell’attività dopo le chiusure. Il totale sfonda il muro dei 30.000 euro al mese.
“Le cose devono cambiare in fretta – prosegue il presidente In sono dino -. Continuiamo a chiedere a gran voce ormai da anni un tavolo di concertazione in cui parlare di misure strutturali per il settore. La nostra dignità di imprenditori è stata calpestata; non siamo un comparto di serie B e vogliamo rispetto per la nostra professione e per le nostre imprese. Come si evince dai costi, i 10.000 euro una tantum messi in campo dal governo con l’ultimo decreto sono un insulto ai lavoratori e alle imprese di questo settore”.