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“Ma le saracche dei repubblicani non colpivano innocenti”

Caro direttore,
volevo complimentarmi pubblicamente con te per l’esaustivo pezzo di cultura, dialetto e storia che hai sviluppato nel piacevolissimo articolo intitolato “Saracca, zacagnata e sagattare: la Romagna dei coltelli svelata dalle parole”.
Con le argomentate e documentatissime tesi, mi hai richiamato alla mente il grido che tanti riminesi tifosi come me del Rimini calcio di Sarti e Spadoni negli anni ’70 , dedicavano a quel gran terzino sinistro di Giulio Natali quando “entrava” senza paura su potenti attaccanti avversari accompagnato da numerosi “zaca Giulio!!!” che ne sottolineavano e incitavano il gesto ancor più che atletico, direi partecipativo del suo giocare sempre senza paura e pieno di personalità riminese e quindi romagnola!

Mi corre però anche il dovere di riprendere una tua similitudine, quando entrando nella nostra storia romagnola e dei repubblicani, di cui anch’io faccio parte ora come allora (per il mio ramo materno) per argomentare la saracca scrivi: “Il dibattimento durò appena due mesi e mezzo senza riuscire a dissipare molte ombre. Basato sulle rivelazioni di Giovanni Resta, “terrorista pentito” come diremmo oggi”…. ed un giudizio, a mio avviso ingeneroso con i ravennati nella conclusione del tuo richiamo storico:”A tanti venne poi comodo additare come origine di tutti i mali il capitano “Ferri” in quanto fondatore del Mutuo Soccorso: ormai era morto combattendo con le camicie rosse di Garibaldi a Monterorondo nel 1867. Tuttavia Ravenna celebra tutt’ora Giovanni Cavalcoli come un eroe, dedicandogli anche una via.”

Per quanto riguarda la similitudine, vorrei evidenziare la differenza fra le varie tipologie di terroristi di mafia o jihad di oggi, che seminano terrore anche tra gli innocenti per demolire gli Stati democratici e i nostri padri romagnoli e repubblicani, da te così bene richiamati nella vicenda narrata, che anche con la saracca invece, hanno sempre colpito in modo mirato chi reputavano di dover eliminare per raggiungere la libertà e la repubblica (che per essi coincideva con la democrazia pura, come insegnava da decenni Mazzini) per tutto il popolo che si sentisse tale dal più povero al più ricco per il conseguimento del bene comune ai fratelli d’Italia, come li sintetizzerà magistralmente il mazziniano Goffredo Mameli nelle parole del suo Canto degli Italiani.

Perdona il richiamo storico, ma è anni, che con gli amici del Comitato riminese per la storia del Risorgimento Italiano e i repubblicani italiani del PRI e dell’Associazione Mazziniana Italiana e della Repubblica di San Marino, che troviamo sempre più spesso dimenticato o ignorato il fatto che questi accoltellatori, in particolare i romagnoli, erano figli o nipoti di persone che, cresciute nella miseria materiale e spirituale dello Stato Pontificio, avevano visto troppe volte i propri cari come minimo incarcerati, se non battuti con la mazzola sul sedere o peggio ancora decapitati dopo essere stati mazzolati dai governanti del trono e dell’altare (l’ultimo ghigliottinato riminese per aver accoltellato un prete che gli aveva violentato, impunito, la sorella, è del 1854, a soli cinque anni dal plebiscito che porrà la Romagna fuori dal governo dei preti in quell’Italia sabauda che tradirà tutte le aspettative delle nostre genti da parte della marmaglia clerico-monarchica e degli ex repubblicani passati all’altra sponda perchè stanchi di lottare o per semplice desiderio di arricchirsi col nuovo corso delle cose).

Inoltre, proprio per marcare debitamente la differenza tra i rivoluzionari obbligati alla violenza per liberare il Paese dagli oppressori (a loro volta violenti con la violenza di Stato verso i cittadini) è bene ricordare che il vessillo del Partito d’Azione fondato nel 1943 per accomunare alla stessa causa della Resistenza con la forza gli italiani, era un vessillo che evidenziava non esattamente una saracca ma un pugnale, simbolo già dei mazziniani dell’ARU (Alleanza Repubblicana Universale fondata dallo stesso Mazzini, quale braccio armato della ribellione repubblicana, come ci copieranno poi i nord irlandesi attraverso l’IRA, braccio armato del Sinn Féin, che però a differenza degli italiani ammazzavano spesso anche gli innocenti) e addirittura in richiamo nominale a quel Partito d’Azione organizzato da Mazzini con i mazziniani agli inizi degli anni ’50, dopo la caduta di tutti i ribelli della primavera dei popoli del ’48 e ’49.

Queste considerazioni mi permettono anche di introdurre la seconda questione dei ravennati. Il Cavalcoli, infatti, era capo di un gruppo sociale, la società di mutuo soccorso, che come tutte le s.m.s. era l’organizzazione di base fondata dai mazziniani italiani già dal 1849 un po’ ovunque nel Paese. Le s.m.s. saranno per decenni l’unico elemento concreto di Stato Sociale, completamente gestite dai lavoratori per i lavoratori e le loro famiglie. Ci vorrà la prima guerra mondiale a farle cessare, a causa dell’enorme numero di coloro che di colpo anzichè versare, chiedevano sussidi. Negli stessi anni in cui, anche a Ravenna, per mezzo di persone come Cavalcoli, si pongono le basi sostanziali del futuro Stato repubblicano democratico e solidale, ci furono anche molti, che approfittando del nuovo corso monarchico, cercarono di arricchirsi, e spesso arricchirsi indebitamente ai danni degli ex amici ribelli e delle loro famiglie, spesso anche con l’inganno.

Allora per capire meglio il perchè di una “saracca” verso questi traditori dell’antica causa, c’è da ricordare il giuramento che un tempo costoro, come tutti i mazziniani facevano, in particolare nella parte che recitava: “…Di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse, nello spirito della Giovine Italia, da chi rappresenta con me l’unione de’ miei fratelli, e di conservarne, anche a prezzo della vita, inviolati ì segreti; Di soccorrere coll’opera e col consiglio a’ miei fratelli nell’associazione. ORA E SEMPRE. Così giuro, invocando sulla mia testa l’ira di Dio, l’abbominio degli uomini e l’infamia dello spergiuro, s’io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento.”

A Ravenna, dove il PRI e i mazziniani ancora mantengono una fiera e consapevole presenza storico-politica, citare Cavalcoli è quindi, giusta”Saracca, zacagnata e sagattare: la Romagna dei coltelli svelata dalle parole”.mente, una citazione degna delle nostre migliori storie patrie.

Un mazziniano
Giulio Gherardo Starnini

(nell’immagine in apertura, il monumento di Giuseppe Garibaldi a Ravenna)

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