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Rimini: “Jamil. Realizza il nuovo decumano massimo dell’era moderna”

Provvedo a fare tenere la nota trasmessa a Sindaco, Giunta e  Consiglieri comunali.

A proposito delle vicende di questi ultimi tempi ed al dibattito che ne è seguito, in merito alla opportunità di allocare adeguatamente, finalmente, le statue di Ottaviano Augusto e di Tiberio, che giacciono ancora nei depositi del nostro Museo, esponendole sulla pubblica via ed in relazione alla decisione assunta dalla precedente Amministrazione di procedere al riguardo ed alla quale invece, a tutt’oggi, non è stata data ancora alcuna attuazione, nonostante siano stati da tempo approvati progetto e relativo finanziamento, mi piace fare tenere la nota che segue. 

Quanto ad Ottaviano Augusto, diciamo subito che questi deve avere soggiornato per lunghi periodi in Ariminum ed in particolare già a fare corso dagli anni dal 35 al 32 a.C, quelli della guerra dalmata contro i pirati illirici in Adriatico, dal momento che avrebbe condotto direttamente le operazioni militari ed avrebbe assunto personalmente il comando della flotta romana alla fonda in Ariminum. 

Ottaviano Augusto quindi avrebbe dovuto conoscere molto bene la città ed il suo territorio ed anzi doveva essersi trovato bene e la città doveva essergli anche piaciuta e non solo per il mare e la bellezza del suo entroterra, ma perché questa, oltreché rappresentare già un grande crocevia di strade e rotte che conducevano in tutte le direzioni della penisola e del mondo allora conosciuto, verso l’Europa, verso la Sicilia e al di là del mare Adriatico nei Balcani, era diventata anche una città cosmopolita, un centro di traffici, di persone e di merci provenienti dai più diversi paesi e non solo della penisola, un vero porto di mare. Inoltre, dal 90 a.C., aveva cessato di essere una colonia di diritto latino ed era diventata municipio romano con i suoi abitanti parificati ai cittadini di Roma, ed infine, come dimensioni, sviluppo urbanistico e popolazione, era divenuta la seconda città della penisola, a parte Roma e dopo la sola Napoli. 

Nel 27 a.C. Ottaviano ottiene dunque l’attribuzione del titolo di Augusto, il massimo riconoscimento, che gli viene concesso proprio dal Senato, che ormai ha esautorato pressoché di tutti i suoi poteri, ed è da questo momento, come sappiamo, che cessa appunto di esistere la Repubblica ed inizia una nuova era per Roma, l’età dell’impero.

E’ da questo momento infatti che Ottaviano dà inizio alla sua opera di profonda trasformazione dello intero Stato romano, addirittura di vera rifondazione ab imis del suo assetto istituzionale ed amministrativo, che porterà poi alla realizzazione dell’unità dell’impero e cioè alla riunificazione senza più guerre, in armonia tra loro, di tutti i corpi che lo componevano, sotto una forza regolatrice che assicurerà la pace e quindi il benessere degli abitanti di tutti i territori, realizzando così quella che è stata definita la Pax romana o, appunto, Pax Augusti. 

Ma per potere realizzare questo suo disegno di così enorme portata, un programma politico così’ ambizioso, con la suddivisine del territorio in regioni, la creazione del fisco, l’imposizione di una pubblica amministrazione fatta di funzionari che dipendevano direttamente da lui, con l’avocazione a sé della monetazione d’argento e d’oro, l’assunzione diretta della gestione di tutte le opere pubbliche, oltre il comando dell’esercito, ecc., era necessario potere divulgare al massimo la notizia di un tale cambiamento avvenuto al vertice dello Stato, pubblicizzandola in maniera eclatante al fine di rendere a tutti noto, che iniziava veramente una nuova era e che in futuro sarebbe stato lui, l’“imperator” e cioè il comandante vittorioso, già tribuno della plebe e console e proconsole e infine pontefice massimo e ora “Augustus” , il depositario di tutto il potere e solo lui a guidare il nuovo corso degli eventi e della storia di Roma. 

E quindi per realizzare tutto questo, Ottaviano Augusto, che cosa fa?, decide di impiegare addirittura come un moderno “mass media”, la stessa città di Ariminum, per la sua posizione allora al centro dei collegamenti per tutte le direzioni, e quindi di trasformarla in un vero manifesto di tutto il suo programma politico eleggendo, di fatto, a “sua” nuova capitale dell’impero, dopo Roma, questa città che lui ben conosceva, con quel suo decumano massimo che scorreva, al contrario di quella che era la regola, non da monte a mare ma in direzione della via Emilia e dei nuovi territori della Valle Padana, questa città che lui apprezzava non solo per essere stata sempre fedele a Roma ma anche per essere appunto un centro particolarmente attivo e mai domo, proteso sempre verso lo sviluppo della propria crescita ed influenza. 

E per Ariminum, infatti, organizza quindi un vasto programma di opere pubbliche che devono testimoniare e pubblicizzare, a tutti coloro che si troveranno a transitare per questa città, sempre più “Caput viarum”, la sua grandezza, il suo potere, quello che era il suo nuovo, rivoluzionario, disegno politico ed il nuovo corso della storia che intendeva avviare. 

Quindi non solo interviene per potenziarne l’assetto urbanistico, in particolare procedendo al rifacimento del foro, del teatro, della basilica, oltrechè della viabilità, della rete idrica, fognaria ecc. ma in particolare erige un grande Arco di accesso alla città, e progetta un mirabile ponte per l’attraversamento del fiume Ariminus. 

E i materiali e la pietra impiegati per queste opere saranno di grande qualità, provenienti dalle più importanti cave delle Alpi, della Spagna e dell’Istria, e le stesse opere da realizzare saranno di dimensioni e fattura tali che tutti coloro che si troveranno a transitare attraverso quelle non solo ne dovranno rimanere ammirati ma addirittura impressionati per l’immagine che della sua potenza e della grandezza sua e del suo disegno politico le stesse dovranno trasmettere. 

(E soffermiamoci, dunque, una volta tanto, appena ce ne sarà l’occasione ad osservare con attenzione i particolari che arricchiscono questi due monumenti, Arco e Ponte, che sono tutti i giorni sotto i nostri occhi senza che ci fermiamo mai a guardarli per bene…). 

L’Arco, la prima opera monumentale che Augusto fà erigere in Ariminum, anche se con funzione di porta urbica, sarà infatti il più imponente e solenne arco romano fino a quel momento mai realizzato. L’apparato decorativo che è carico di simboli reca in alto la epigrafe con la dedica del Senato e del popolo romano alla sua persona, nell’attico era posto un gruppo plastico, con la statua bronzea che ritrae lui stesso nell’atto di condurre una quadriga. Il tutto poi rivestito d’oro per risplendere nella luce del sole ed abbagliare il viandante. L’intera struttura, in pietra d’Istria, traspira un forte carattere religioso mentre l’architettura richiama elementi di un tempio antico. Infine, l’apertura della porta è volutamente talmente ampia da non poter essere chiusa da battenti per rinviare simbolicamente alla pacificazione ormai da lui raggiunta già dal 31 a.C. con la fine della guerra civile. 

Il Ponte. invece, che rappresenta certamente l’opera più importante voluta da Ottaviano Augusto, davvero monumentale, e non solo quanto alle dimensioni ma anche per la cura e la quantità di elementi inseriti sulle lastre di pietra della sua struttura, verrà realizzato molto più tardi. 

Solo successivamente infatti, nel 14 d.C., e quindi dopo un considerevole intervallo di tempo, Ottaviano Augusto dà inizio alla costruzione del Ponte sul fiume Ariminus (la ragione di tale ritardo rispetto all’Arco, va ricercata, molto probabilmente, principalmente nel fatto che finchè non venne completato il porto di Classe, dove poi si sarebbero imbarcate le legioni di stanza in Ariminum, la foce del fiume rimase per lungo tratto occupata dalle triremi romane, ivi alla fonda). 

Improvvisamente però, nell’agosto dello stesso anno, Ottaviano Augusto muore. A lui succede, al vertice dell’impero, Giulio Tiberio, il figlio della moglie Livia Drusilla Claudia, che sarà da lui adottato. 

E’ Tiberio, dunque, che porterà a compimento il ponte di cui, di fatto, curerà l’intera costruzione che avrà termine nel 21 d.C. e che da lui prenderà appunto anche il nome. 

Questo ponte, a cinque eleganti arcate, in stile dorico, davvero mirabile per le sue linee architettoniche e per la genialità delle soluzioni adottate e che rappresenta uno dei simboli della straordinaria capacità tecnica e ingegneristica dei romani, è realizzato anch’esso in pietra d’Istria. 

Sulla sua struttura è stato inserito un complesso apparato figurativo, con simboli e immagini del potere politico e religioso, che richiamano, in particolare, il ruolo sacro che l’imperatore rivendica per sé, di collegare uomini e divinità come pontefice massimo, carica che nella cultura dell’antica Roma comportava appunto la giurisdizione sulla costruzione e manutenzione dei ponti considerati metafora del collegamento tra l’uomo ed il divino. 

Infine lungo il percorso carrabile del ponte, sui parapetti laterali che si elevano nella parte centrale è posta una identica iscrizione a caratteri cubitali, perché, evidentemente, sia ben leggibile da chiunque vi transiti nei due sensi di marcia e che contiene la dichiarazione che il ponte è dono fatto alla città da Ottaviano e da Tiberio insieme. 

Questa, dunque, l’attenzione che hanno riservato e questo, sia pure in rapida sintesi, tutto quanto di grandioso è stato fatto da Ottaviano Augusto e da Tiberio per Ariminum. 

Ora, tutto ciò premesso e considerato, caro Sindaco, assumi tu l’iniziativa e, a nome dell’intera cittadinanza riminese, ricambia con un gesto di ringraziamento e gratitudine, sia pure postumo, la generosità e la considerazione che nei confronti della nostra città hanno dimostrato questi imperatori: 

Jamil, passa alla storia per avere realizzato il nuovo Decumano Massimo dell’era moderna di Ariminum, che va non più dall’Arco al Ponte, ma da “Bigno” sino alla rotatoria in fondo al Borgo San Giuliano, nuovo decumano dedicato ad Ottaviano Augusto, a Tiberio ed a Giulio Cesare, che nel 49 a.C ha arringato le sue Legioni proprio da Ariminum, e dai quindi, finalmente, disposizione perchè le statue di questi, che sono i tre imperatori romani legati indissolubilmente alla storia della nostra città, siano collocate, quella di Ottaviano sulla via Flaminia, nell’aiuola a verde davanti a “Bigno”, quella di Giulio Cesare in piazza Tre Martiri da dove arringò i legionari e quella di Tiberio nel giardino pubblico Vannoni. In tal modo inoltre gratificherai anche i cittadini riminesi e consentirai a loro ed a tutti i turisti di passaggio di poterle ammirare e godere della loro vista. 

Questo mio è un suggerimento volto a favorire non solo la immagine della tua Giunta ma sopratutto l’immagine di maggiore qualità che deve assumere sempre più la città: non solo città commerciale o del turismo culturale di massa, proposto ora con il museo felliniano di piazza. Con questa iniziativa, infatti, contribuirai a rendere la sua offerta più importante e seducente e più qualificata sotto l’aspetto culturale. La città diverrà decisamente più bella ed attraente e “gloriosa” e quindi più appetibile anche turisticamente…

Infine concludendo, a proposito di turismo, mi permetto un suggerimento: oltreché pubblicizzare la piadina, sarebbe bene promuovere anche iniziative volte a fare conoscere, in maniera più adeguata e ad un numero ben più vasto di cittadini riminesi e forestieri, che in Rimini esiste un ponte dono addirittura non di un solo imperatore ma di ben due imperatori romani insieme, Ottaviano Augusto e Tiberio!”. 

Dott. Umberto Farneti 

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