Mettiamo che… in piena estate un romagnolo passi per caso davanti ad un campo da cui rosseggiano tanti bei fiori di papavero, il suo primo pensiero – se si tratta di un vero romagnolo, appunto – potrebbe essere il seguente: “Osta, quante rosole avrei potuto raccogliere in primavera!”
Già! Perché in questo caso il detto “cogli l’attimo” si traduce nel rimpianto di non aver pensato in tempo a godere di quel gustoso dono della natura che, gratuitamente (se raccolto autonomamente, contadino permettendo) o acquistato dall’ortolano, va a farcire la semplice piada per trasformarsi in quel trionfo di sapore e di tradizione che conosciamo come “cassone con le rosole”.
E’ marzo il mese più adatto alla raccolta, perché poi le piante di papavero “fanno il bordone”, cioè crescono troppo per prepararsi a fiorire e le rosole non sono più buone.
Al ròsli (al plurale), dice il Dizionario Romagnolo Ragionato di Gianni Quondamatteo, “è il rosolaccio (Papaver rhoeas), detto anche papavero rosso, copioso fra le messi, nei coltivati, nei luoghi incolti. Questa pianta, ben nota per il bel rosso vivo dei suoi fiori che talvolta formano vistose distese sui prati, offre un’ottima erba ad campagna, che, cotta, entra d’autorità int i casùn.”
In effetti, i cassoni con le erbe sarebbero quelli della tradizione, preparati con le piante mangerecce che si potevano trovare in tutte le stagioni, anche d’inverno.
Le varianti – con salsiccia e patate, formaggio e pomodoro e via discorrendo – sono invenzioni piuttosto moderne e, ad essere sinceri, hanno fatto la fortuna dei vari negozietti di piada e cassoni sparsi in tutto il territorio.
E già qui va precisato che “piada e cassoni” è definizione tutta riminese, mentre l’insegna della zona cesenate e forlivese (dove abbondano baracchini e chioschi) è “piadina e cascioni”.
Differenze di poco conto, si dirà, ma bastanti a soffiare su diatribe che durano da decenni, tirando in ballo eminenti storici e gastronomi tifosi dell’una o dell’altra sponda.
Ma torniamo alle nostre rosole.
Muniamoci di coltellino e ampia borsa di stoffa e raccogliamole adesso, al massimo fino alla fine del mese di marzo, tagliando le rosette di foglie alla loro radice, possibilmente senza romperle.
Una volta lavate molto bene e asciugate, le rosole vanno tritate col coltello e, cosparse di sale, messe a riposare in un ampio scolapasta.
Dopo almeno due o tre ore (meglio una mezza giornata), le strizzeremo con le mani per fare uscire tutta l’acqua che si sarà formata con la macerazione.
Quindi, le condiremo con olio extra vergine e le appoggeremo sulla metà di una piada appena tirata, che sarà coperta con l’altra metà.
Il cassone così formato andrà sigillato nel bordo usando i rebbi di una forchetta. Qualche punzecchiatura, qua e là, anche sulla superficie del cassone (per far uscire il vapore durante la cottura) e… via, sul testo bello caldo.
Attenzione alla cottura, rivoltando il cassone con l’aiuto di un grande coltello.
“Che ve lo diciamo a fa’…” pensiamo, mentre immaginiamo che i lettori di Chiamamicittà.it siano tutti romagnoli e conoscano già i segreti del perfetto cassone con le rosole.
Vorrà dire che abbiamo scritto per tutti gli altri, i non romagnoli.
Che maliziosamente, pensando al contenuto oppiaceo del papavero, ora capiranno perché a volte i romagnoli sono un po’… strambi e pazzerelli.
Buon appetito!
Maria Cristina Muccioli