“Se mi manca Rimini? Ma certo. Mi manca tanto che torno almeno due volte all’anno. Ed entro cinque anni spero di potervi tornare per sempre”. Stefano Sacanna vive nella Grande Mela dal 2007, dove lavora come ricercatore presso il Center for Soft Matter Research nel Dipartimento di Fisica della New York University. Ma il legame con la sua città non si è mai interrotto: “A Rimini vivono i miei genitori, mia sorella. E anche qui a New York non mi paccio mancare la piada. Vado a prenderla dal fratello della Lella, a Brooklyn”.
Il 45enne Sacanna è lo scienziato che per primo ha inventato delle cellule sintetiche che si comportano come quelle viventi. Quattro anni di esperimenti in pool con l’Università di Chicago per riuscire dove finora tutti avevano fallito. Con possibili e importanti applicazioni nei campi più diversi.
Nello studio pubblicato dalla rivista Nature e nei video che ci ha cortesemente inviato dimostra come le sue creature si divorino per esempio batteri cone l’Escherichia coli, che prolifera nelle acque inquinate ed è responsabile di gravi infezioni. Ma sono in grado anche di divorare le microplastiche, uno delle peggiori minacce per l’ambiente ffra quelle create dall’uomo.
Stefano Sacanna, lei si considera l’ennesimo esempio di ricercatore italiano che è costretto a emigrare all’estero? Oppure in un mondo globalizzato è perfettamente normale sviluppare la propria carriera in paesi diversi?
“Diciamo che la vita del giovane ricercatore in Italia agli inzi è ancora molto dura. Poi una volta affermato diversi problemi si risolvono; oggi esistono molti progetti di finanziamento europeo, quindi in assoluto non è più esatto dire che in Italia si investa poco in ricerca. Però un ragazzo appena laureato se non è ricco di famiglia trova sempre troppe difficoltà. Retribuzioni basse e soprattutto precarie, non è possibile progettare il futuro, anzi non si sopravvive proprio col proprio lavoro. Quindi il futuro uno se le vo a cercare all’estero, è inevitabile. E la mia non è una famiglia benestante”.
Invece negli USA?
“Qui le opportunità sono tante, infatti i ricercatori arrivano da tutto il mondo. I finanziamenti privati sono importanti, ma contano anche quelli federali. Per esempio il mio laboratorio lavora molto per la Difesa. I militari sono sempre alla ricerca di nuovi materiali, che possano per esempio sostituire il kevlar a parità di resistenza. Addirittura, materiali in grado di essere invisibili. Per arrivarci i modelli da imitare sono sempre quelli offerti dalla natura e dagli organismi viventi. La mia ultima ricerca va appunto proprio in questa direzione, ripoducendo artificialmene i comportamenti che sono delle cellule viventi”.
Però vorrebbe tornare in Italia, come mai?
“Da giovani tutti sogniamo NewYork. Ma davvero non è un paese per vecchi. Non è nemmeno un paese per una famiglia. Con un reddito anche negli USA più che buono a Manhattan ti puoi permettere poco più di un monolocale. Il parcheggio? E’ come pagare un altro appartamento, infatti in tanti ormai all’auto ci rinunciano. E crescere i figli, l’istruzione, le cure mediche: costi su costi, esorbitanti. Allora la famiglia va nelle periferie, che può voler dire ore e ore di pendolarismo, magari da un altro stato. A quel punto la vecchia Europa da cui sei scappato inizia ad apparirti da altre prospettive”.
Il suo curriculum dice di un diploma in elettronica e telecomunicazioni all’ITIS “Da Vinci” di Rimini, laurea in chimica industriale a Bologna, Ph.d in Olanda a Utrecht dove la chimica incontra la fisica. E’ un percorso di studi normale o lei rappresenta un’eccezione?
“Grande ITIS, non dimentico la mia scuola! Se sono un’eccezione? Sì e no: sono italiano. Voglio dire che è tipico di noi italiani sapersi adattare alle situazioni, allargare gli orizzonti, non bloccarsi di fronte alle difficoltà. E anche sconfinare. E’ per questo che talvolta raggiungiamo grandi risultati all’estero. Non è un luogo comume patriottico, lo verifico quotidianamente con i miei studenti. L’americano quando incontra un problema che non sa risolvere si blocca e aspetta che sia io a spiegargli la soluzione. L’italiano invece si ingegna, prova altre strade, magari sbaglia ma si dà da fare. Insomma, l’italiano ‘spatacca’, come diciamo noi riminesi (ride). E’ la nostra marcia in più, mentre gli altri sono più rigidi, chiusi dentro la loro specilizzazione dove magari sono dei fenomeni. Ma oltre all’indole, i successi degli scienziati italiani arruvano anche grazie alla nostra scuola”.
In che senso?
“La scuola italiana, pur con tutte le critiche che merita, offre una preparazione di grande livello, soprattutto all’università. Livello pari e talvolta superiore a quello di nazioni che noi di solito guardiamo dal basso. Anche questo fatto lo vedo costantemente negli Stati Uniti. Certo, qui ci sono i migliori atenei del mondo. Ma chi li può frequentare? Nella mia New York University la retta è di 60mila dollari all’anno, fate un po’ voi. C’è anche l’università statale che costa meno, ma qui il curriculun è tutto, con una laurea statale non fai tanta strada”.
Oltre all’insegnamento lei ha un suo laboratorio nel Greenwich Village. Anche lì ci sono italiani?
“Sì ci sono, ma metà sono cinesi; in questo momento siamo in dieci. Ecco, i cinesi per esempio sono bravissimi, ma perchè chi emerge è uscito da una competizione durissima, spietata, iniziata fin da piccolissimi. Noi italiani per fortuna sappiamo anche prenderci le nostre pause, goderci un po’ la vita”.
Gli Stati Uniti come stanno affrontando il covid? Anche voi avere un green pass o qualcosa del genere?
“La situazione è molto dura anche qui. E le misure di contenimento non sono per niente leggere, almeno in questo stato di New York che del resto è stato colpito in maniera dolorosissima. Per frequentare le lezioni nella nostra università di green pass ce ne voglio due, quello dello stato e quello che ha predisposto l’ateneo. Insomma se non sei vaccinato a scuola non ci metti piede. Tutte le maggiori università si sono dotate di questi controlli. Eppure come sempre non tutti i mali vengono per nuocere”.
Cioè?
“Ho approfittato della pandemia per sposarmi. Lei è cinese, o meglio canadese, cioè statunitense… insomma una situazione un poì complicata. Ci pensavamo da tanto e l’isolamento ci ha fatto decidere. Abbiamo fatto venire un sacerdote a Central Park, pochi amici ed ecco fatto”.
Congratulazioni! Quindi sua moglie dovrà imparare a fare la piada e le tagliatelle?
“Ehm, non mi pare tanto portata. Di sicuro se la cava meglio come assaggiatrice, è un’ottima forchetta!”.
Stefano Cicchetti