Siamo un paese per vecchi? Se la risposta è sì (e per molti è così), allora l’unica soluzione per i nostri giovani è quella di emigrare all’estero: Inghilterra, America o Australia non importa, purché si riesca a vivere e costruirsi una famiglia.
Ma c’è chi l’Italia non la vuole proprio lasciare e allora prova a fare fortuna prova a essere profeta in patria, magari inventandosi un’attività. Infatti, secondo i dati della Coldiretti Giovani Impresa, relativi all’anno 2016, sono nate circa 90 mila imprese gestite da under 35 a fronte delle quasi 40 mila che hanno chiuso nello stesso periodo. In percentuale vuol dire 325 imprese aperte ogni giorno.
Ma nella pratica, quanto è difficile per un giovane italiano fare impresa nel proprio Paese? Tanto, forse davvero troppo. Come racconta Matteo Cantasale, giovane cuoco riminese di 33 anni, titolare dell’Osteria SpaccioDivino a San Giovanni in Marignano.
Matteo, da quanto tempo fa il cuoco?
«Ho iniziato a fare il cuoco a 15 anni. All’inizio solo nel periodo estivo, poi ho lavorato anche per il comune di Rimini, facevo il cuoco negli asili. A 22 anni ho iniziato a lavorare in maniera permanente al ristorante il Granaio».
Quando hai deciso di metterti in proprio?
«Tre anni fa, a 29 anni, ho deciso che era ora di cambiare luogo di lavoro, ma non avevo ancora le idee chiare. Un giorno, navigando su internet, ho visto che la vecchia gestione dello Spacciodivino cedeva l’attività, cosi spinto anche da mia sorella che è poi è divenuta mia socia, abbiamo deciso di lanciarci in questa avventura. Una grossa mano me la da anche mia mamma che gestiste la nostra contabilità e tanti altri aspetti, mentre in sala come dipendente ho impiegato la mia ragazza».
Come sta andando il tuo ristornate?
«Le cose, anche se non lo voglio dire troppo forte, stanno andando bene. La mole di lavoro è in continuo aumento, stiamo migliorando sotto tanti punti di vista e abbiamo ancora margini di crescita. All’inizio non è stato facile, perché la ristorazione è un mondo difficile, si devono far combaciare tanti aspetti: dalla qualità del cibo a un bell’ambiente, a un buon servizio, unito a prezzi adeguati al mercato. Ma, una volta trovato l’equilibrio fra queste cose, poi si deve, come nel nostro caso, crearsi una clientela in un paese che è pieno di ristoranti dalla storia decennale, soprattutto in Romagna. A questo, poi, si devono aggiungere tutti gli aspetti burocratici a cui dobbiamo far fronte ogni giorno».
Quanto è grande il problema della burocrazia in Italia?
«Non voglio parlare per luoghi comuni ma qui da noi quello che veramente rende difficile mantenere un’impresa sono la burocrazia e le tasse. Dal momento in cui si crea una partita Iva è tutto un susseguirsi di fogli, documenti, uffici, notai e commercialisti. Nel mio campo poi c’è una serie infinita di permessi da avere, corsi da frequentare e leggi da seguire. Io penso che tutto questo spesso scoraggi a inseguire i propri sogni. Essere dipendente comporta molte meno complicazioni, finito l’orario di lavoro sono finiti i pensieri. Da imprenditori, invece, le cose cambiano e le scartoffie te le sogni anche di notte».
Matteo, ti sei mai pentito della tua scelta di metterti in proprio?
«Non mi sono mai pentito della mia scelta, anche se diverse persone mi avevano sconsigliato di fare questo passo. Ci ho pensato parecchio prima di intraprendere questa avventura e non sono mai stato uno che molla, ma, ripeto, che i momenti di sconforto o in cui pensi che è tutto troppo complicato o difficile non sono mai mancati».
Secondo te, se un giovane italiano si rimboccasse le maniche e fosse più che mai determinato a raggiungere il suo scopo, potrebbe vivere felice e realizzato anche in Italia?
«Purtroppo essere determinati e rimboccarsi le maniche a volte non basta. Sicuramente ci vogliono tanta passione e dedizione. E bisogna mettere in conto che ci saranno mille sacrifici da fare. Ma soprattutto bisogna avere un progetto preciso. Tanti miei coetanei che non trovano lavoro decidono di mettersi in proprio, usando tutti i propri risparmi, ma lo fanno improvvisando e purtroppo non sempre riescono nella loro impresa. Nonostante questo, io penso che anche in italia si possa vivere decorosamente. Certo il periodo economico politico non è dei migliori in questo momento e magari si guadagna meno rispetto a 20 anni fa, ma ce la si può fare».
Sei soddisfatto di quello che hai creato?
«Sono molto soddisfatto di quello che ho fatto, ma in questo mestiere non bisogna mai accontentarsi e cercare sempre di fare meglio, anche se come nel mio caso mi porta a lavorare anche 14 o 15 ore al giorno. Da tre anni a questa parte sono veramente giornate intense quelle che sto vivendo, ma se tornassi indietro lo rifarei altre cento volte, perché sto facendo quello che ho sempre sognato».
Nicola Luccarelli