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Emma Petitti: “Scissione Pd autolesionista, idee non persone”

Non si è ancora sbilanciata del tutto a favore di nessuno, ma il suo nome è spesso associato a quello del ministro della Giustizia, Andrea Orlando. La classe è quella dei Giovani Turchi, la scuola è della sinistra, ma la strategia finora è stata quella di tenere unito quanto più possibile il Partito democratico.

Emma Petitti, assessora dell’Emilia Romagna al Bilancio, con diverse altre deleghe, non ha voluto arrendersi alla scissione. Ha tentato fino all’ultimo di ricompattare le fila. Di rianimare quel Pd lacerato dalle battaglie intestine che durano ormai da diversi mesi.

Pare non abbia funzionato. E’ davvero finito il Pd inaugurato da Veltroni al Lingotto?

«L’ultima parola non è ancora detta. Le partite si giocano fino all’ultimo minuto, recuperi compresi. E noi vorremmo davvero continuare a giocarcela con la stessa squadra che ha portato il Pd a fare grandi cose. A unire una parte importante del nostro Paese. Ad esempio in queste ore continua a non essere molto chiara la posizione di Michele Emiliano, pare sia intenzionato ad abbandonare la scissione per unirsi alla sfida del Congresso contro Renzi».

Nemmeno la posizione di Orlando è chiarissima.

«Sono ore delicate e decisive. Uno degli errori commessi, e riconosciuti, da questa direzione è l’eccessiva personalizzazione. Non tutti però fanno i ragionamenti politici per motivi prettamente personali. Insomma c’è anche chi, per fortuna, pensa alla responsabilità che ha il nostro partito verso il Paese e verso gli elettori. Il ministro Orlando ha sempre detto che se la sua candidatura dovesse servire a evitare la scissione, sarebbe disponibile. Credo dunque stia valutando questo elemento che è sicuramente centrale».

Lei invece che ne pensa?

«Guardi, lo sto dicendo ormai da diversi giorni. Ciò di cui non abbiamo bisogno è una scissione autolesionista. Nessuno ne uscirà più forte. E c’è anche da dire, e riconoscere, che il braccio di ferro renziano con la minoranza ha acuito le divergenze. Avremmo dovuto ripartire insieme, con una nuova classe dirigente, possibilmente più matura e più consapevole anche dei propri limiti e della portata delle sfide. Ci siamo persi a criticare chi era in sala con noi. Quando invece sappiamo tutti che gli avversari veri sono altri».

Chi?

«Non c’è bisogno di fare nomi. Anche perché non sono quelli a preoccuparmi. Il Pd ha già dimostrato che quando è unito, vince. Mi spaventano di più le idee, il populismo confuso che rincorre di giorno in giorno il consenso elettorale. Mi preoccupa l’ondata di odio che dalla piazza virtuale dei social sta scendendo nella piazza reale delle nostre vite. Il nostro Paese ha bisogno di risposte, tante e urgenti. Noi, che abbiamo tutti gli strumenti per poterle dare, non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

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