L’area archeologica riemersa a Rimini in via Melozzo da Forlì torna dove era rimasta per quasi duemila anni: sotto terra. Terminata la campagna di scavi, tutto è stato ricoperto con cemento e rete elettrosaldata. Quindi ricoperto con una seconda gettata di cemento. Scomparso alla vista quindi anche il grande mosaico di circa 40 metri quadrati, così come le strutture murarie superstiti di un impianto termale risalente con ogni probabilità al primo secolo dopo Cristo.
Così ha deciso la Soprintendenza ai beni archeologici di Ravenna, dopo aver valutato che nemmeno il mosaico di 10 metri per 4 poteva essere spostato: non è “amovibile”, impossibile effettuare uno “strappo” e trasferirlo in una sede museale. Una volta fotografato e studiato a fondo, insieme ad altri numerosi reperti, ai fini della sua conservazione è meglio che rimanga nel sottosuolo, adeguatamente protetto.
L’unica alternativa sarebbe una complicata e costosa operazione che lasciasse l’area in vista, o almeno la porzione del mosaico e dell’adiacente vasca termale. Con tutto ciò che richiederebbe in termini di salvaguardia da agenti atmosferici e frequentazione del luogo. I 7 miliardi del PNRR destinati alla conservazione e valorizzazione dei beni culturali sono un’opportunità che Rimini potrebbe esplorare?
Il Borgo Sant’Andrea, probabilmente il meno conosciuto fra i visitatori di Rimini, si ritroverrebbe con qualcosa da mostrare. Qualcosa di romano, in continuità con Porta Montanara all’esterno della quale il Borgo si è sviluppato. Molto prima di quanto si pensasse: fino alla sorprendente scoperta di via Melozzo da Forlì tutti credevano che in quell’area non ci fosse nulla di antico. Certamente nulla di così importante.
Rimini detiene un record in Emilia Romagna: è la città dove sono stati trovati più mosaici romani di età imperiale. Infatti la sezione del Museo della Cttà dedicata ai pavimenti musivi è splendida e importante. Eppure anche lì i visitatori possono farsi solo una piccola idea del patrimonio cittadino. Molti mosaici, più frammentari e meno esteticamente significativi, sono nei magazzini. Ma diversi altri, ancora là dove sono riemersi, sono visibili solo a pochi priviliegiati o per occasioni davvero speciali. Come quelli di palazzo Massani, sede della Prefettura. O nella Camera di Commercio in via Sigismondo. Stessa sorte, d’altronde, per gli ultimi resti della cattedrale paleocristiana di Rimini, Santa Colomba, riportati alla luce ma inglobati in un edificio privato di piazza Malatesta.
Ci sono poi mosaici che hanno fatto la stessa fine di quelli di via Melozzo da Forlì: come quelli scavati accanto all’Arco d’Augusto una ventina d’anni fa e ricoperti “provvisoriamente” dal prato in attesa di tempi migliori e magari ulteriori scavi.
Il Museo di Rimini potrebbe rendere in qualche modo fruibili questi beni? Almeno mostrandone l’esistenza? Sarebbe sufficiente aggiungere all’esposizione attuale una serie di pannelli dove poter osservare le fotografie e i rilievi custoditi dalla Soprintendenza. L’immagine di una Rimini “città dei mosaici” potrebbe uscire dalla cerchia degli specialisti e riscuotere un certo interesse. Senza voler in nulla competere con Ravenna, giustamente sovrana assoluta a livello mondiale.
Stefano Cicchetti